Il disegno di legge di bilancio che il Governo si accinge a varare o questa sera o domani 22 novembre è una doppia prova: da un lato, è la prova della coesione di un esecutivo appena formato e in cui albergano sensibilità differenti; da un altro, è la prova o meno che l’esecutivo si stia ponendo su una strada appropriata per iniziare una prima fase quinquennale di riassetto strutturale tale da eliminare “il morbo oscuro” dell’economia italiana, la produttività quasi nulla che ci affligge da quasi un quarto di secolo.
Tale bassa produttività è caratteristica del settore dei servizi il cui elettorato, in buona misura, ha votato per l’attuale Governo: ciò rende ancora più difficile l’impresa. In termini puramente macroeconomici e di finanza pubblica, la ricetta è nota e condivisa: restringere la spesa pubblica di parte corrente e aumentare quella in conto capitale, anche grazie al cospicuo aiuto europeo che ci viene con il Programma nazionale di ripresa e resilienza. Quando il disegno di legge sarà approvato e pubblicato, quindi, si dovrà esaminare in che misura, la strategia, o meglio l’assaggio di strategia (date le scadenze previste da normativa europea è un lavoro fatto con tempi ristrettissimi) è tale da fare intravedere, per il prossimo futuro, realizzazione di investimenti pubblici efficienti ed efficaci e, soprattutto, riforme nel comparto dei servizi tali da indicare un possibile aumento della produttività.
Il Governo – occorre ricordare – opera con vincoli molto severi. Da un lato, sotto il profilo dell’economia reale, si annuncia una recessione (che potrebbe essere pesante ma breve) e abbiamo a che fare con un’inflazione (che potrebbe durare e innescare aspettative da parte di tutti i soggetti economici – famiglie, imprese, sindacati, ecc.). Da un altro, mancano le risorse finanziarie (il debito della Pubblica amministrazione si aggira sul 150% del Pil) per “comprare le riforme” – come scrisse Albert Hirschmann – in un bel libro di circa trent’anni fa: ossia “compensare” per un certo periodo di tempo i settori che si sentono (spesso a torto) danneggiati, ad esempio, da una maggiore spinta concorrenziale o da una maggiore importanza al merito. Dei trenta miliardi circa di manovra di finanza pubblica, infine, ben 21 miliardi serviranno a lenire “il caro bollette”. Di conseguenza, ciò che resta per i vari comparti è veramente poco, soprattutto perché in pochi giorni non si possono riformare le “tax expenditures” o agire con efficacia sul cosiddetto “Reddito di cittadinanza”.
È in questo spirito che, a mio avviso, si dovrà analizzare con cura il disegno di legge di bilancio quando pubblicato, dando poca importanza al chiacchiericcio di questi ultimi giorni. Questo chiacchiericcio è composto, in gran misura, di “bandierine” che varie componenti della maggioranza sventolano ai loro elettorati sperando di poter dire martedì 22 novembre o mercoledì 23 novembre: “Vedete, l’ho fatta inserire io!”.
Occhi aperti quando sarà disponibile il testo dell’articolato per vedere se esso corrisponde a obiettivi e vincoli e se da esso si può almeno intravedere un futuro aumento della produttività.
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