Chi si aspettava fuochi d’artificio sovran-populisti dalla prima Legge di bilancio di questo Governo (quella dell’anno scorso è stata una finanziaria Draghi-bis) è rimasto deluso. La manovra varata ieri dal Consiglio dei ministri è prudente, moderata, attenta alle compatibilità. È vero che il disavanzo pubblico aumenta rispetto alle stime di primavera, perché 16 miliardi di euro saranno coperti stampando altri titoli di stato, tuttavia occorre difendere per quel che si può la domanda interna evitando così che la spinta recessiva esterna (politica monetaria restrittiva e mercato mondiale in dieta dimagrante) sia amplificata dalla politica fiscale. E nello stesso tempo bisogna digerire l’indigestione da superbonus edilizi.



Il Governo ha cercato la quadratura del cerchio politico combinando le priorità di ciascuno partito, ma concentrandole attorno ad alcuni capisaldi comuni: sostenere i redditi medio-bassi, ammorbidire l’inevitabile aumento dell’età per andare in pensione, aiutare le donne e le famiglie con figli. Il tutto nella consapevolezza che la torta è piccola. Matteo Salvini ha parlato di una Legge di bilancio senza emendamenti. Non resta che attendere.



La riduzione del cuneo fiscale rappresenta la fetta più consistente (6 punti fino a 35 mila euro e 7 fino a 25 mila): è vero che viene confermato solo per altri dodici mesi, ma “andiamo avanti anno dopo anno con questi chiari di luna”, ha ammesso il viceministro Maurizio Leo sabato scorso alla festa del Foglio. Il beneficio sarà di appena 100 euro al mese, però riguarderà una platea di 14 milioni di lavoratori, dunque il suo impatto macroeconomico non sarà ininfluente. Anche la riduzione delle aliquote da quattro a tre (con un costo di 4,1 miliardi di euro) avviene eliminando la soglia del 25% e portando al 23% tutti i redditi fino a 28 mila euro lordi annui. In più ci saranno meno scappatoie fiscali per chi dichiara oltre 50 mila euro.



Se i lavoratori dipendenti questa volta ricevono maggior attenzione, non manca per gli autonomi la conferma della flat tax al 15% e la proroga per altri tre anni della loro cassa integrazione chiamata indennità di continuità che, definita “straordinaria”, tende ormai a diventare ordinaria. Per i pensionati aumentano i requisiti legati all’età anagrafica, ma non c’è quota 104 secca per tutti, semmai “un meccanismo di incentivi a permanere al lavoro e una penalizzazione per quelli che decidono di andare in pensione prima”, ha spiegato Giancarlo Giorgetti. Ape sociale e Opzione donna vengono sostituite da un unico fondo. Saranno rinnovati i contratti degli statali (7 miliardi più due per la sanità) con particolare attenzione al comparto sicurezza (polizia, forze armate).

Per le famiglie il provvedimento più eclatante è l’asilo nido gratis se ci sono almeno due figli, inoltre lo Stato pagherà i contributi a carico delle madri lavoratrici. Infine, i fringe benefit salgono a duemila euro per i lavoratori con figli e mille per tutti gli altri. “Vogliamo smontare la narrativa per cui la natalità è un disincentivo al lavoro. Vogliamo incentivare chi mette al mondo dei figli e voglia lavorare”, ha detto Giorgia Meloni.

Una misura cara alla Lega è la riduzione del tassa Rai. Un quarto del canone non viene più pagato in bolletta, l’importo scende da 90 a 70 euro. Caro a Salvini è il Ponte sullo stretto di Messina, il ministro sostiene che di avere le risorse, si tratta di 12 miliardi (questo il costo complessivo) da trovare di qui al 2026. Vedremo come. Giorgia Meloni ha parlato di tagli alle spese, finora ogni spending review non ha dato i frutti sperati. In linea generale è positivo che il Governo, scartata l’accetta, cerchi anche di lavorare di forbici sulla spesa corrente. Il problema principale è che non venga sempre sacrificata la spesa per investimenti.

Ciò introduce al capitolo Pnrr: si è perso quasi un anno tra revisione e centralizzazione, sono arrivate due rate, la terza è già stanziata, per la quarta il Governo dovrà presentare domanda. Ma non si riesce a capire quanti cantieri sono stati aperti. E restano ancora solo sulla carta ben 23 miliardi di euro dei fondi di coesione: le Regioni premono, il Tesoro se li tiene stretti perché finora le entrate sono state fiacche e le uscite eccessive.

Le esigenze di cassa entrano in conflitto con la necessità di investire e accelerare così la crescita, unica strada per dimostrare che il debito pubblico è sostenibile. Venerdì tra l’altro si attende il primo verdetto delle società di rating (apre le danze Standard & Poor’s). E ieri, proprio mentre il Governo illustrava compiaciuto la sua “finanziaria”, arrivava la notizia che l’inflazione resta ancora alta (5,3% a settembre con una riduzione di appena lo 0,1%). Insomma, non è tempo di allentare le cinture di sicurezza.

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