Le risorse, lo stesso Giorgetti lo ha ribadito, non sono illimitate e la legge di bilancio dovrà tenerne conto. Ma per il Governo quello della natalità e del sostegno alle famiglie resta una priorità. Come perseguire allora questo obiettivo tenendo conto delle possibilità che offrono le casse dello Stato? Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano, cerca di individuare qual è la strada giusta per iniziare a risolvere un problema che potrebbe avere conseguenze nefaste nei prossimi anni per tutto il Paese, che sarebbe condannato a non avere più le risorse per sostenersi.



Professore, su cosa bisogna intervenire principalmente per cercare di invertire la tendenza del calo demografico?

Il desiderio di figli oggi incontra molti ostacoli, di cui il primo è il lavoro. Una questione che però non va considerata a parte, come aggiuntiva rispetto al quadro macroeconomico. Il problema si è affacciato alla metà degli anni 90 e nel 2000 è caduta in modo rilevante la quota di giovani sulla popolazione: la nostra energia vitale non è cresciuta come avremmo avuto bisogno. Se non vogliamo tenere a parte la questione figli bisogna riconoscere che la politica salariale è un prolungamento della politica familiare. Molti italiani, soprattutto quelli che per istruzione potrebbero avere influenza sullo sviluppo, fanno fatica ad avere un’occupazione, un reddito che consenta di concretizzare le loro speranze.



Altri Paesi europei sono riusciti a sostenere le famiglie con figli; come hanno fatto?

In spiaggia si può distinguere in modo immediato una famiglia italiana da una francese: quella italiana se va bene è una coppia con un figlio, quella francese molto probabilmente avrà tre figli. Una situazione di questo genere se portata a livello macro non può che generare degli squilibri. I francesi hanno un’attenzione alla famiglia che consente di mettere in campo dei provvedimenti economici e di sostegno familiare: l’assegno per il ritorno a scuola è uno dei segnali che lo Stato si preoccupa della cultura delle nuove generazioni fornendo alle famiglie un buono significativo che può essere speso per l’acquisto dei libri o di altro.



Spesso il problema è anche la cura dei figli. Come si possono aiutare i genitori in questo?

Se, soprattutto nei centri urbani, marito e moglie lavorano, chi si prende cura dei figli, soprattutto quando sono piccoli? Abbiamo una tradizione di baby sitter, ma costano. Bisogna pensare a un sostegno nei “buchi temporali” che si verificano durante la crescita dei figli. Uno dei problemi oggi è il livello dei salari, ma non dimentichiamo che così restando la situazione, le difficoltà a investire nella cura dei figli continueranno. Per questo è necessario che gli interventi siano vincolati finché si vuole alle risorse disponibili, ma tenendo conto che se si tira la coperta solamente da una parte un’altra finisce con l’essere sguarnita.

Cosa può comportare una ulteriore diminuzione del livello di natalità?

Le conseguenze della denatalità sono veramente pesanti. Lo vediamo in casi come quello della Cina. Lì il settore immobiliare si è ingigantito fino a diventare una enorme bolla: prezzi alle stelle, famiglia indebitate, incapaci di sostenere un mutuo. Ma se a un’offerta così rilevante di immobili avesse fatto seguito una domanda di coppie con un reddito adeguato questa situazione non ci sarebbe: è uno squilibrio che sta minando il miracolo cinese. Per noi dal ’73, con la crisi petrolifera, sono stati solo problemi. La natalità ha cominciato lentamente a declinare, nonostante i molti richiami arrivati ai politici di tutti i partiti, quantomeno negli anni 80-90. In concreto non si è fatto nulla. Ricordo che a metà degli anni 90, quando la natalità era caduta, si era pensato di utilizzare in altri modi la cassa per gli assegni familiari.

Allora come dobbiamo intervenire?

Il sostegno ai genitori è fondamentale. Se prendiamo il nostro Pil pro capite e lo confrontiamo con il passato siamo a livello di 20 anni fa: il tenore di vita non è aumentato come nelle aspettative. E le aspettative dal punto di vista sociale sono tutto, altrimenti la società rischia di sfilacciarsi.

L’immigrazione serve per contribuire a risolvere il problema del calo demografico?

Se vogliamo davvero accogliere persone dall’estero dobbiamo porci il problema dell’abitazione e del lavoro. La natalità in sé non è decisiva per l’immigrazione: all’inizio gli stranieri non hanno un numero di figli maggiore rispetto agli italiani e dopo pochi anni anche loro diminuiscono, perché le difficoltà economiche sono uguali per tutti. Non possono godere di un grado di integrazione e di sviluppo culturale, di opportunità, come sarebbe necessario per persone giovani. Se non diamo opportunità alle persone che chiedono di essere aiutate rischiamo di trovarci problemi irrisolvibili. Possibile che non possiamo organizzare una rete intelligente di accompagnamento per gli italiani e per chi dovesse arrivare dall’estero con bambini e giovani? Si può fare, ma il lavoro resta comunque una priorità, devono esserci le condizioni.

Se il lavoro resta una priorità, il cuneo fiscale è l’unica possibilità di intervento?

Abbiamo bisogno di migliorare la produttività, che non è semplicemente aumentare il numero di bulloni al minuto. Produttività significa anche organizzazione del lavoro: abbiamo bisogno di crescere bene. Leggo sui giornali di scienziati e giovani che sviluppano concetti nuovi, molecole, che producono innovazione: possibile che non ci sia anche un capitale adeguato che ne comprenda le opportunità anche imprenditoriali? Se si aumenta la produttività in modo virtuoso tutti stanno meglio e questo contribuisce a creare le condizioni favorevoli dentro le quali ci si può aspettare un aumento demografico.

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