Il presidente del Consiglio ha ripetuto ieri in Senato di volere il ritorno al proporzionale dopo trent’anni di sperimentazione con altri sistemi elettorali. Nel suo discorso, Conte ha sostenuto questa scelta perché “limita l’astensionismo” e permette una fedele rappresentazione dei rapporti di forza in Parlamento, specchio delle tendenze presenti nel Paese.
Per quanto possa apparire benintenzionato, il progetto di ritorno al proporzionale porta con sé evidenti conseguenze sul piano politico, conseguenze che sono certamente presenti a chi sta optando per questa scelta e che non possono essere ignorate.
Innanzitutto, come riportano tutti i principali sondaggi sulle intenzioni di voto (YouTrend 14 gennaio: Lega 23,5%, Pd 19,6%, FdI 16,3%, M5s 14,2%, FI 7,4%, Azione 3,9%, Iv 3,3%, La Sinistra 3,2%), se si votasse con il proporzionale non solo nessuna forza politica raggiungerebbe da sola la maggioranza, ma non la otterrebbe neanche una delle due attuali coalizioni principali (Centrodestra 47,2%, Pd+M5s+altri 44,2%).
Questa situazione si presenta quanto mai problematica per il Paese, che rischierebbe di trovarsi in una situazione di perenne paralisi. Sul piano politico, poi, a breve e a medio termine il sistema proporzionale permetterebbe al partito a cui Conte deve la sua fortuna politica (M5s) di rimanere rilevante nonostante l’eccezionale perdita di consenso nel breve spazio di una legislatura, con un calo di più del 50% delle preferenze.
Secondariamente, una legge elettorale proporzionale, specie se con soglia di sbarramento non particolarmente alta (quanto basterebbe per permettere magari a +Europa di ottenere seggi alla Camera), creerebbe un Parlamento diviso – a sinistra e al centro – in una miriade di sigle, che guarderebbero però tutte al Pd come riferimento europeista, liberal e di altalenante impronta egualitaria. Di fatto, nonostante risultati non esaltanti alle elezioni, è ragionevole supporre che Zingaretti e i suoi successori godrebbero di un’influenza maggiore rispetto alle preferenze espresse dagli elettori.
Se tutto questo è vero, allora è evidente una cosa che va oltre l’opzione in astratto preferibile (e che potrebbe anche essere il sistema proporzionale, visti i fallimenti fin qui causati da sistemi diversi): la proposta di Conte renderebbe ben più di un favore alla coalizione che in questo momento lo sostiene. Del resto, questa è la logica che muove tutti coloro che si propongono di riformare il sistema elettorale: non il bene comune ma il bene proprio, come è successo pressoché sempre in passato ma in modo plateale con la legge 270/2005, il famigerato Porcellum, specificamente disegnato per garantire al centrodestra – e solo al centrodestra – di poter governare. In quest’ottica, la proposta non è irrazionale, se considerata dal punto di vista di un presidente del Consiglio legittimamente preoccupato di garantirsi magari una riconferma nella prossima legislatura.
La storia repubblicana mostra come il sistema proporzionale, che tanto ha dato all’Italia, sia adatto a fornire al Paese indispensabili continuità e affidabilità (interna ed esterna) nell’azione di governo solo in presenza di un partito centrista sufficientemente forte, in grado sì di interpretare le oscillazioni politiche dell’elettorato, sostenendo governi di centrodestra o centrosinistra, ma che mantenga la barra dritta su alcune scelte fondamentali (collocazione in Ue e Nato, politica industriale ecc.). In un sistema molto polarizzato come quello attuale, il proporzionale porta con sé enormi rischi per un sistema democratico, soprattutto in un periodo di grave crisi, quelli connessi all’indecisione e all’instabilità, di cui al presente non si sente affatto il bisogno, visto che è ormai il nostro pane quotidiano.
Non si può pensare che l’Italia si riprenderà dalla pandemia se la sua classe politica trascorrerà tempo prezioso a formare e sciogliere alleanze e, di conseguenza, a cercare “volenterose” stampelle per sostenere il Governo di turno mentre si adopera ad immaginarsi sistemi elettorali funzionali solo al mantenimento di sé stessa.