Al termine della riunione per discutere sulla riforma elettorale, il tavolo di maggioranza ha prodotto un esito scontato: due no e nessun sì. Sostenere di non accettare, allo stesso tempo, i collegi uninominali e il proporzionale senza correttivi significa soltanto rinviare la decisione, dato che si lasciano in piedi entrambe le proposte sul tappeto: il doppio turno di coalizione (da correggersi nel rispetto delle indicazioni imposte dalla Corte costituzionale), e il proporzionale con soglie di sbarramento (al momento imprecisate).



Meno scontato potrebbe apparire l’impegno di presentare una proposta di riforma entro il 20 dicembre. Ma, come noto, tutti gli impegni politici sono sempre rebus sic stantibus. Il mutamento delle condizioni potrà giustificare qualunque altra scelta, anche la prospettiva di alzare la posta per poi andare al voto con l’attuale sistema. Anche l’indicazione della data ultima di questa trattativa, collocata subito prima o comunque a ridosso del voto finale sul bilancio, non induce ad ottimismo, esplicitando la reciproca sfiducia tra le componenti della coalizione. Chi intendesse rompere sul progetto di riforma elettorale, infatti, è avvertito: potrebbe pagare pegno quando il Governo definirà l’ultimo maxi-emendamento della legge di bilancio.



Nulla poi è stato detto ufficialmente sulla richiesta della Lega di partecipare al tavolo. Un atteggiamento davvero curioso per chi si è sempre fatto paladino della necessaria condivisione delle scelte sulle regole del gioco. Ma è comunque rivelatore di una sensazione sempre più evidente: la contrapposizione tra le opzioni in gioco impedisce, almeno per il momento, di allargare il campo della trattativa a chi dall’esterno potrebbe far da sponda ad una delle parti. La politique politicienne la fa da padrona.

Ma se lo sguardo è breve, è altrettanto evidente che anche l’eventuale definizione di un progetto di maggioranza resterebbe alla mercé degli eventi. A partire dal giudizio di ammissibilità (presumibilmente negativo) della Corte costituzionale sul referendum Calderoli, sino al delicato intreccio con l’ancora praticabile referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, consultazione che potrebbe anche essere accorpata con un eventuale altro referendum sull’ulteriore revisione costituzionale appena avviata su proposta della maggioranza.



Un fatto è certo: la sola ipotesi di seguire la strada forzata utilizzata nel recente passato per blindare la proposta governativa di riforma elettorale, mediante l’apposizione della fiducia e ammennicoli vari, è fuori della realtà. Si offrirebbe a chiunque, scontento per qualunque ragione, una facile scusa per bruciare i ponti. C’è una sola strada, praticamente inevitabile: esporsi al confronto parlamentare senza rete. E potrebbe essere un percorso neppure molto periglioso, se l’evoluzione degli eventi consentirà di farà perno sulla prospettiva della riduzione del numero dei parlamentari. La confusione è massima sotto il cielo, ma nulla è più pressante del vuoto a perdere. 

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