Il 21 giugno 2022 negli Stati Uniti d’America è entrata in vigore la legge pro uiguri, denominata “Uyghur Forced Labor Prevention Act”. Una notizia di per sé nobile, dal momento che si tratta di una norma tesa al contrasto degli abusi contro i diritti umani nella regione cinese dello Xinjiang, con particolare riferimento allo sfruttamento di manodopera sottoposta ai lavori forzati nella minoranza etnica degli uiguri. Il punto, però, come analizza sul “Corriere della Sera” Federico Rampini, è che “i suoi effetti potrebbero essere catastrofici per l’America su un terreno cruciale: la transizione verso un’economia più sostenibile, il taglio delle emissioni carboniche”.



Questo perché, rimarca il giornalista, nello Xinjiang si concentra una porzione decisamente importante della produzione mondiale di minerali, metalli e componenti usati nei pannelli solari e nelle batterie per auto elettriche e, allo stato attuale delle cose, non soltanto gli States, ma anche la maggior parte dei Paesi occidentali possono slegarsi totalmente da queste forniture. Ecco perché l’amministrazione Biden è a un bivio di non facile soluzione: applicare la legge a tutela degli uiguri (con scarsità sul fronte delle rinnovabili) o ignorare i crimini contro di loro e mantenere il flusso di importazioni inalterato?



LEGGE PRO UIGURI, STATI UNITI A UN BIVIO: TUTELARE LA MINORANZA ETNICA O SALVAGUARDARE L’INDUSTRIA?

Rampini, nel suo servizio, cita anche i dati raccolti dal “New York Times” nell’ambito di un’inchiesta condotta proprio sugli uiguri e sullo Xinjiang: “La Cina lavora dal 50% al 100% di tutto il litio, nickel, cobalto, manganesio e grafite usati nel mondo. Buona parte di questi minerali o metalli vengono in realtà estratti altrove, dall’Argentina all’Australia alla Repubblica democratica del Congo. È in Cina però che vengono trasformati e usati, per esempio nella produzione dell’80% delle cellule che fanno funzionare le batterie al litio delle auto elettriche”.



C’è di più: all’interno della catena produttiva mondiale, le miniere sono sparse in tre diversi continenti, ma quasi tutte le strade della lavorazione di quelle materie prime attraversano la Cina. Inoltre, “i tre quarti delle batterie per veicoli elettrici sono ‘made in China’; anche quelle che non lo sono, spesso incorporano dei componenti prodotti in quel Paese”. La legge pro uiguri impone di fornire prove che le importazioni di questi prodotti non abbiano nulla a che spartire con l’utilizzo di manodopera sottoposta ai lavori forzati.