Un nuovo modo per assistere gli anziani, integrato, che non sia sbilanciato solo sulla parte sanitaria o su quella sociale. Una riforma nella quale agli ospedali e alle Rsa viene affidato un nuovo ruolo, con l’intenzione di assistere la persona il più possibile a casa, mantenendo i suoi rapporti con la comunità ed evitando quelle situazioni di solitudine che spesso aggravano la condizione di chi è in là con gli anni.
Ne parla monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Commissione per l’attuazione della riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana. Un piano che vuole promuovere l’assistenza domiciliare integrata sociosanitaria e l’invecchiamento attivo e i virtual hospital, pensato per assistere le persone anche nei centri più piccoli. Al Governo ora tocca scrivere i decreti per attuare la legge votata dal Parlamento. Una riforma che rivoluziona il modo di intendere l’assistenza degli anziani e che gode anche dell’approvazione del Papa.
Monsignor Paglia, lei è stato presidente della Commissione per l’attuazione della riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana, recentemente approvata. Innanzitutto ci può dire come si pone rispetto agli scopi dell’Unione Europea, a riguardo della popolazione anziana?
La legge – in linea con la direttiva della Commissione europea fatta durante il piano 2014-2021 – è il frutto del lavoro della Commissione per la riforma dell’assistenza alla popolazione anziana del ministero della Salute, e che mi onoro di presiedere, che sia il Senato che la Camera hanno approvato, senza nessun voto contrario. Questa legge – che pone il nostro Paese all’avanguardia dell’assistenza agli anziani – prevede un profondo cambio di paradigma: si tratta di prendersi cura di tutti gli anziani attraverso un “continum assistenziale” centrato sulla casa, sul cohousing, su centri diurni polifunzionali, su lungodegenze temporanee, in modo che nessuno sia lasciato solo e senza cure. La legge raccomanda la promozione di una trasformazione positiva di un modello sanitario incentrato sugli ospedali a un modello invece community based, basato sulla comunità, distribuito sui territori, proattivo e dotato di tecnoassistenza (telemedicina e telemonitoraggio ad esempio). Non è estranea a questo modello, anzi profondamente coinvolta, la ricerca medica e accademica, in grado di valutare e fornire gli strumenti più appropriati. Questa trasformazione implica anche la necessità di una vera integrazione tra sociale e sanitario, che è uno dei grandi problemi irrisolti non solo in Italia ma in tutti i Paesi occidentali.
Come è possibile fare questo?
La legge si propone di raccogliere quegli attori che oggi sul campo agiscono ognuno per sé, le componenti sanitaria, sociale e assistenziale. Si dovrebbe arrivare a una valutazione multidimensionale unica, effettuata nei cosiddetti punti unici di accesso, o negli ospedali, o nelle unità di valutazione geriatrica, al fine di creare insieme una risposta alla domanda complessa degli anziani, senza le sovrapposizioni e le dispersioni che purtroppo oggi la caratterizzano.
Si osserva spesso una inappropriatezza dei ricoveri, perché negli ospedali per acuti finiscono spesso gli anziani con malattie croniche.
Infatti la legge parte dalla preoccupazione di ridurre l’inappropriatezza, che oggi purtroppo è quantificata in 1,3 milioni di ricoveri giudicati inutili dal ministero della Salute. La legge suggerisce una risposta meno concentrata sull’ospedale, ma più distribuita in quello che ho chiamato il continuum assistenziale. Questo prevede la crescita dell’assistenza domiciliare integrata, sociale e sanitaria, composta da servizi di rete, di inclusione sociale e digitale, di monitoraggio della popolazione molto anziana, di assistenza residenziale, di centri diurni, di cure palliative domiciliari. Ed anche il coinvolgimento del Terzo settore e del volontariato.
Cosa c’entra la legge con la Carta dei diritti degli anziani e dei dovei della comunità?
La legge, come ho già detto, parte dal lavoro della Commissione per la riforma nominata dall’allora ministro Speranza e poi ripresa dal ministro Schillaci. Si intende dare una risposta che va ben al di là dell’assistenza sanitaria e sociale, una risposta di visione a quello che è il mondo degli anziani oggi, tenendo conto che rispetto al secolo scorso la speranza di vita è cresciuta di circa 30 anni. Si è elaborata una carta dei diritti degli anziani e dei doveri della comunità verso di loro che sancisce i diversi diritti degli anziani, da quello di essere chiamato per nome, al diritto allo studio, all’apprendistato e anche al lavoro, in forme naturalmente protette, articolate, misurate sulle potenzialità dell’anziano. Non possiamo credere che per 14 milioni di persone l’unica risposta oggi sia il pensionamento e il riposo forzato.
La legge prevede anche cambiamenti nella concezione di assistenza domiciliare, in che senso? Cosa manca oggi nell’ assistenza domiciliare?
Oggi l’assistenza domiciliare è un servizio puramente prestazionale, che consiste nell’erogazione di 17 ore all’anno di assistenza infermieristica; la chiamano assistenza integrata (ADI) ma in realtà non lo è affatto, anche perché quasi sempre manca la componente sociale, almeno nelle dinamiche sanitarie. C’è poi un duplicato di questa assistenza che, invece, è esclusivamente sociale. La legge prevede un’assistenza integrata, sociale e sanitaria, che sia di tipo continuativo, cioè che segua realmente gli anziani, con una presa in carico che sia completa e duratura nel tempo.
E invece per quanto riguarda le RSA, che cambiamento suggerisce la legge?
Le RSA debbono ripensarsi per entrare nel continuum assistenziale. Debbono quindi essere strutture aperte, con centri multiservizi, soprattutto nei piccoli comuni, potendo dispiegare l’intero continuum, anche l’assistenza domiciliare. Addirittura, con il termine di RSA aperte, si rovescia completamente il paradigma, lasciando a casa i pazienti e portando loro i servizi. Ci sono anche benefici economici con questo approccio, sia per gli anziani che, come è noto, oggi pagano la quota alberghiera, sia per gli stessi gestori, i quali vengono liberati dai problemi legati alla struttura ospitante ed ai suoi costi.
Nella legge si parla anche di invecchiamento attivo, cosa vuol dire?
Il primo aspetto dell’invecchiamento attivo secondo la legge è la lotta alla solitudine. Sappiamo che in Gran Bretagna è stato istituito un ministero per la lotta alla solitudine, proprio perché la solitudine rappresenta un fenomeno veramente devastante per tutti, ma in particolare per chi è più anziano. Chi va in pensione spesso perde l’unico contesto sociale in cui vivere visto che in Italia ci sono ormai 7 milioni di famiglie formate da una sola persona. Occorre ridare ad ogni anziano un contesto affettivo, familiare e sociale. Essere distaccati dalla dimensione comunitaria rappresenta un potentissimo fattore di rischio, questo è già noto dalla letteratura scientifica. E poi naturalmente si combatte in tanti modi uno stile di vita sedentario e ripiegato su di sé: attività fisica adattata, adeguata nutrizione, ricerca di attività utili e comuni rappresentano altrettanti aspetti di questo nuovo inizio.
Un altro elemento messo a fuoco dalla legge è quello della fragilità.
La legge non lavora solo per chi non è autosufficiente, ma anche per quei milioni di anziani che sono fragili, cioè a rischio di perdere quella autonomia che permette loro di continuare a vivere a casa. Dobbiamo lavorare innanzitutto per loro, perché la fragilità, che peraltro è un problema che nella vita appartiene a tutti noi, è un fenomeno che va monitorato, studiato, prevenuto, custodito. E questa è una prospettiva anche culturale indubbiamente nuova che la legge propone.
Quindi è una legge non ideologica, cioè non oppone residenzialità e assistenza domiciliare, ma guarda alle diversità che ci sono all’interno del mondo degli anziani.
Certo. Esattamente. Cogliendo tutte le sfumature. Quando parliamo di continuum assistenziale vogliamo dire che in ogni stagione della vita e in ogni condizione c’è un ambito appropriato. L’importante è non dare mai risposte del tipo tutto o niente. Per questo il continuum permette soluzioni diversificate.
Tra l’altro si parla anche di virtual hospital. Cosa significa?
C’è l’idea che un ospedale possa agire al di fuori delle proprie mura, dei propri confini fisici. Ha a che fare con la telemedicina, ma anche con la possibilità di avere uno staff ospedaliero mobile, capace di continuare a seguire almeno per i primi tempi in dimissione protetta i propri pazienti a casa. Sappiamo che oggi purtroppo la carenza di comunicazione tra territorio e ospedale fa sì, ad esempio, che si possano dimettere pazienti ancore in condizioni precarie. Il virtual hospital si connette con la rete del territorio e crea continuità assistenziale, che è il fattore veramente decisivo per ogni moderno sistema sanitario.
Sembra un aspetto fondamentale per l’Italia che ha tantissime località in collina e montagna, lontano dai grandi centri.
Certamente, infatti una buona assistenza, buoni servizi anche di connettività permettono agli anziani di rimanere e permettono anche alle loro famiglie di rimanere nei piccoli centri. In Italia quasi 6mila comuni sono sotto i 5mila abitanti ed è lì che si gioca una straordinaria partita, non solo per i due milioni e mezzo di anziani che ci vivono, ma anche per la sopravvivenza di borghi e paesi che hanno fatto la storia e l’identità dell’Italia.
Ma cosa comporta la legge in termini di costi e spesa pubblica?
Noi spendiamo 12 miliardi per mantenere 290mila anziani in RSA e meno di 2 miliardi per assistere 2,8 milioni di over 75 che vivono a casa, senza dimenticare gli 8 milioni di anziani fragili ai quali noi dobbiamo dare la possibilità di non perdere la propria vita e la nostra. La legge propone quello “shift” raccomandato dalla Commissione europea, ossia quello spostamento di investimenti dagli ospedali e dalle residenze al territorio ed alla abitazione, creando un circuito virtuoso che da una parte taglia l’inappropriatezza di tanti ricoveri, dall’altra custodisce e previene, mantenendo a casa gli anziani.
Cosa c’è bisogno sul piano legislativo per attuare la legge?
Il Governo deve scrivere i decreti che concretizzano i contenuti ideali della legge che il Parlamento ha votato. Il secondo passo è ovviamente quello dei finanziamenti. Risparmiare richiede investimenti. Come investire? Non sull’intero ciclo di cambiamenti ma attraverso sperimentazioni locali, territoriali, che coinvolgano regioni, ASL, ospedali, comuni, ambiti territoriali, terzo settore, volontariato e università. Si potrà in questo modo costruire un percorso nuovo, innovativo che faccia anche risparmiare. L’idea della legge è di proporre una cornice a livello nazionale, che omogenizzi i sistemi di accreditamento, le prestazioni, le caratteristiche del personale che deve lavorare, ma anche poi di promuovere con fantasia a livello locale buone pratiche rispettose di quel che già si è fatto e che possano essere valutate con rigore, per essere poi estese e messe a sistema.
Ultima domanda: per lei che è un vescovo, che cambiamento chiede a noi cristiani questa visione dell’anziano?
Questa dimensione affonda nella sensibilità dei Vangeli, della Bibbia e nella tradizione cristiana, come dimostra il fatto che la profetessa Anna aveva 84 anni quando cominciò a fare la catechista. Il Papa è molto contento di tutto questo lavoro e ha già pensato un modo per lanciarlo a tutta la Chiesa: il 27 aprile, sabato, chiamerà in Piazza San Pietro nonni e nipoti di tutte le realtà ecclesiali e non ecclesiali. Lui dice: voglio vedere insieme nonni e nipoti, perché con questa prospettiva, cambieremo il mondo.
(Giorgio Vittadini)
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