“La prima legge regionale ‘per’ i giovani e scritta ‘con’ i giovani”, interamente dedicata ai 2 milioni di lombardi tra i 15 e i 34 anni, che parte con una dotazione finanziaria di 3 milioni di euro. Il via libera è arrivato dalla Giunta della Regione Lombardia, su iniziativa di Stefano Bolognini, assessore allo Sviluppo Città Metropolitana, Giovani e Comunicazione, e come ha ricordato il governatore Attilio Fontana “l’obiettivo è di approvarla in Consiglio entro i primi mesi dell’anno”. La legge prevede una serie di interventi mirati per “promuovere l’autonomia, la consapevolezza, l’inclusione e la partecipazione attiva dei giovani alla crescita della comunità”, potenziando i servizi territoriali loro rivolti, promuovendo una lettura integrata dei loro bisogni, ottimizzando le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili.
“Per capirli i giovani vanno incontrati, ascoltati, motivati – spiega l’assessore Bolognini –. Solo così si possono invertire alcuni trend negativi che caratterizzano proprio le politiche giovanili. Noi vogliamo stimolare a 360 gradi il protagonismo dei giovani, raccordando gli interventi, là dove già sono definite, sviluppate e realizzate le politiche sociali, ma focalizzandoci proprio su di loro. E a tal proposito il coinvolgimento degli enti locali, dei comuni, in un’ottica sussidiaria, è prioritario”.
Perché una legge regionale sui giovani?
Per due ragioni. Da un lato, per rafforzare e raccordare i diversi interventi che Regione Lombardia da anni mette in campo nell’ambito delle politiche giovanili. Dall’altro, per stimolare il protagonismo, l’autonomia e la partecipazione dei giovani nella vita delle loro comunità, in un momento in cui il nostro paese vive un inverno demografico assolutamente preoccupante: si prevede un calo di 13 milioni di abitanti entro il 2050.
L’obiettivo?
La nostra legge regionale si pone l’obiettivo ambizioso di fare da pungolo per invertire questa tendenza, che poi impatterà su molti ambiti della nostra vita sociale.
Quali sono i principali ambiti di intervento?
Il lavoro, la formazione, il volontariato – a cui i giovani sono molto interessati e che può essere un’ottima occasione per coinvolgere i meno inclusi – e più in generale puntiamo a stimolare la consapevolezza e a offrire strumenti ai giovani per far sì che diventino protagonisti a 360 gradi. Ma non dimentichiamo anche l’orientamento, la disabilità, la cultura, l’affettività, l’educazione finanziaria, la cittadinanza attiva, l’empowerment…
La legge parte con una dotazione di 3 milioni. Finora quanto è stato già investito?
Finora abbiamo allocato 250mila euro per l’aggiornamento del personale di Informa Giovani, il principale strumento di politica pubblica che offre una prima possibilità di incontro con esperti per fornire risposte ai bisogni, alle domande, ai servizi che un giovane va cercando. Non solo: intendiamo anche valorizzare Garanzia giovani, servizio civile e leva civica, perché sono fattori di inclusione fondamentali”.
Lei ha scelto il metodo di fare una legge che parli ai giovani facendola proprio con i giovani, tanto che ha organizzato “Tour Generazione Lombardia”, una serie di incontri sul territorio. Quali sono le loro vere istanze?
Abbiamo voluto ascoltare a fondo i bisogni dei giovani, e siamo contenti di averlo fatto perché abbiamo avuto grandi ritorni. Emerge una grande e diffusa voglia di essere protagonisti, anche se proprio da questo Tour abbiamo capito che manca ancora un aggancio diretto perché questo avvenga.
Uno dei problemi più sentiti è senz’altro quello della formazione e del lavoro. Come non disperdere il prezioso capitale umano dei giovani?
Purtroppo le statistiche sul grado di istruzione, sul numero di laureati e in generale sulla formazione ci dicono che l’Italia è agli ultimi posti in Europa, e questo ci deve far riflettere.
Vale anche per la Lombardia?
In un quadro non certo positivo per il paese, Milano si distingue: è senza dubbio capitale europea dal punto di vista universitario, come confermano tutti gli indicatori, dal numero delle immatricolazioni alla percentuale di occupati post-laurea. Ed è una leva che fa di Milano un polo di attrazione. Ma anche nella nostra regione non mancano le criticità, su cui stiamo concentrando i nostri sforzi.
Quali criticità?
Negli ultimi 16 anni la Lombardia ha perso il 50% degli studenti iscritti alle scuole professionali. È indubbio che verso questo tipo di formazione si è determinato un progressivo calo di interesse, che però oggi crea problemi a molti settori produttivi – manifatturiero, elettronico, meccanico, ristorazione, turismo… – perché non riescono a trovare la forza lavoro di cui hanno bisogno. Le stime, riferite a tutta Italia, dicono che mancherebbero addirittura 800mila studenti provenienti dalle scuole professionali, cioè da percorsi formativi che possono avere sbocchi interessanti, tutt’altro che di serie B rispetto ai licei.
Si può invertire il trend?
Noi siamo convinti che sia possibile. Bisogna intraprendere subito una sorta di “battaglia culturale”: occorre riposizionare questo tipo di offerta formativa anche rispetto alle opportunità che offrono le scuole professionali. È una bella sfida.
L’Italia ha anche il triste record di Neet, quel 20% di giovani che non studiano, non lavorano e non si danno da fare per trovare un’occupazione. Quanti sono in Lombardia? E come aiutarli a uscire da questa spirale?
I Neet in Lombardia sono 230mila e per loro la scuola professionale può essere uno stimolo e uno strumento affinché alcuni di loro possano invece reinserirsi in percorsi positivi. Se, poi, pensiamo alle scuole legate alla moda, alla ristorazione, al design o al legno, possono aiutare i ragazzi di grande talento a dar vita a percorsi imprenditoriali di valore e di successo.
Come intercettare i Neet?
I Neet passano, nel loro isolamento, 10 ore al giorno al telefono, se non di più, con una media di 80 accessi. Non sono facili da intercettare, anche il loro “ingaggio” con gli operatori sociali non è dei più semplici. Ma proprio gli strumenti tecnologici possono essere l’occasione per agganciarli, stimolarli e indirizzarli verso percorsi positivi.
Sono previsti aiuti per i giovani che vogliono metter su casa e famiglia?
Casa e famiglia sono temi per noi molto importanti e anche i giovani mostrano grande interesse al tema della genitorialità. È chiaro che questo ambito coinvolge anche aspetti legati al lavoro, ai servizi, al territorio e alla conciliazione famiglia-lavoro. Regione Lombardia ha già in atto una serie di interventi strutturati in tal senso, ma stiamo valutando misure e interventi a sostegno degli affitti per dare un aiuto all’autonomia abitativa dei giovani. Ma c’è un tema che va approfondito.
Quale?
I giovani guardano con maggior attenzione a Milano e provincia, che vivono un trend demografico positivo, e ciò si riflette su costi d’affitto e prezzi d’acquisto delle case. Le altre province, specie nelle aree montane, godono di minore attenzione perché vivono fenomeni di profondo spopolamento: lì le case ci sono, bisogna però costruire qualcosa d’altro, soprattutto opportunità lavorative, così da invertire questo trend.
Una Lombardia a due velocità. Si può ridurre il gap?
Sì. Penso che gli attuali finanziamenti della Regione per i borghi rurali, le Olimpiadi 2026, nuove forme di agricoltura 4.0, nuove attività legate alla sostenibilità e le connessioni tecnologiche che permettono di lavorare da remoto potranno in parte invertire questa tendenza. Chiaro che serviranno anche una promozione a livello turistico e di marketing territoriale.
I giovani chiedono alla politica più attenzione, ma la politica cosa chiede ai giovani?
Penso che i giovani avvertano l’esigenza di essere protagonisti, vanno ascoltati nella loro quotidianità: studiano, lavorano, fanno sport, hanno interessi culturali, sociali, ambientali. Purtroppo si tende a raccontare i giovani solo per le esperienze negative e invece noi cerchiamo, anche attraverso un canale Instagram che si chiama Generazione Lombardia, di ribaltare questa immagine, di rompere questo pregiudizio, raccontando e promuovendo modelli positivi, che possano fungere da stimolo e da riferimento ad altri giovani in difficoltà. Ripeto: su questo leva civica e servizio civile rappresentano strumenti straordinari.
Due anni di pandemia come hanno inciso sui giovani lombardi?
Hanno inciso soprattutto sotto il profilo delle relazioni e hanno aumentano le criticità e le fragilità. Sui giovani la pandemia lascia conseguenze più socio-relazionali che sanitarie. Ma nel contempo i giovani hanno maturato una maggiore consapevolezza e sensibilità verso i legami, la socializzazione. Un atteggiamento che va sostenuto e incentivato. Può essere infatti lo strumento giusto per coinvolgere altri loro coetanei, aiutandoli a superare le loro fragilità.
I giovani sono i grandi dimenticati della politica e del Pnrr. Mario Draghi, lo scorso novembre agli studenti di un istituto tecnico di Bari, aveva detto: “Dopo anni in cui l’Italia si è spesso dimenticata delle sue ragazze e dei suoi ragazzi, oggi le vostre aspirazioni, le vostre attese sono al centro dell’azione di Governo”. Anche grazie ai soldi della Ue i giovani dovevano essere al centro dell’agenda, ma lo sono solo a parole. Come evitare questo rischio?
Il Pnrr, che pure vede tra i principali target, se non il principale, proprio i giovani, è purtroppo l’esempio, in negativo, più emblematico di come siano concepite oggi le politiche giovanili.
Perché?
Considerando le 6 missioni, non ce n’è una rivolta specificamente ai giovani. Sono tutte rivolte a loro, ma in maniera indiretta. E questo è un errore. I giovani hanno voglia e devono aver voglia di essere coinvolti e una politica calata dall’alto può non aver senso. Il Pnrr sta creando una grande attesa in termini di ricadute sui giovani, ma, trattandosi perlopiù di interventi completamente slegati, rischiano di lasciare i giovani del tutto estranei a quel che verrà messo in campo. E se queste sono le premesse, sarà molto difficile che poi i giovani possano riceverne dei benefici.
(Marco Biscella)
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