Lo scorso 21 dicembre è stato approvata dalla giunta della Regione Lombardia la proposta di una legge regionale dedicata ai giovani che intende promuovere il loro percorso di autonomia, di protagonismo, di partecipazione attiva alla vita quotidiana.
È un’iniziativa lodevole che la politica prende in un momento in cui si parla tanto dei giovani ma poco si fa.
Questo mi ha fatto chiedere: cosa desiderano veramente i giovani? Cosa si aspettano da noi adulti? E dalla politica?
Innanzitutto penso, per l’esperienza che ho con loro, che desiderano non essere etichettati, classificati sia nel bene che nel male. Ciascuno di loro è un mondo unico, originale e qualsiasi generalizzazione li fa ribellare perché è il segno che non vuoi rapportarti con ciascuno di loro, non sei intenzionato a comprenderli, a immedesimarti con le loro attese, le loro aspirazioni, i loro dubbi, i loro problemi. Quante volte mi sono sentito dire: “ma io sono io!” Quante volte ho percepito lo sguardo perso dei miei studenti di fronte a delle mie “ prediche”, pur motivate da buone intenzioni, sulla loro presunta apatia, negligenza, disinteresse.
Ciascuno di loro, come ciascuno di noi, è un mondo che desidera essere compreso, abbracciato, aiutato a crescere, accompagnato verso quel destino buono che loro come noi tutti desideriamo.
Ecco, questa attenzione al singolo mi sembra il fattore decisivo che noi adulti, educatori, dovremmo aiutarci a guardare. Certo non è facile per noi insegnanti, abituati a stare di fronte alla classe, preoccupati dei programmi, dei voti; però solo l’attenzione al singolo può far scattare nel ragazzo, e quindi per contagio può far scattare anche nel gruppo classe, un interesse nuovo, un impegno rinnovato.
Questo è certamente il segreto di quella realtà che ho l’onore di dirigere da vent’anni che è Portofranco, centro di aiuto allo studio gratuito per gli studenti delle scuole medie superiori, in cui ogni studente è aiutato singolarmente.
Stamattina leggendo le bozze del libro scritto da Davide Perillo Fuochi accesi, in uscita a febbraio, che racconterà la storia di diversi ragazzi che nei vari centri di Portofranco in Italia hanno visto rinascere il loro io, mi sono commosso nel leggere la storia di Mohamed, di Desiderée, di Razi.
Perché mi sono commosso, come ci si commuove sempre nel veder rinascere una persona?
Perché capisci che per educare una persona devi volergli bene, devi voler bene a lui per come è, per il destino buono che ha e che desidera attraverso il bisogno che esprime; e che quindi per volergli bene devi essere certo che lui vale qualsiasi condizione psicologica e sociale stia vivendo, che “lui merita di più”, come diceva Emilia Vergani, fondatrice di Impresa.
Ma capisci anche che essere voluti bene è formalmente sì un diritto che ciascuno di noi ha, ma quando accade è un fatto eccezionale che eccede ogni diritto perché è il miracolo dell’incontro di due libertà, quella di chi vuole bene e quella che si lascia voler bene. È solo in questo incontro che si riaccende l’io dell’educando e rinasce anche l’io dell’educatore, generando quel cammino comune verso la realizzazione di sé che si chiama amicizia.
Recentemente una famiglia ha deciso di devolvere a Portofranco le offerte che ciascuno poteva donare come partecipazione al funerale della madre di lei con la seguente motivazione, che riassume bene quanto intendevo comunicare:
“Era una insegnante. Amava moltissimo i fiori, ma la sua passione era veder fiorire i suoi alunni, quelli con storie più complesse in particolare”.
La passione per ciascun fiore è quello che a mio parere in questo periodo di isolamento, di individualismo e di nichilismo conta di più nell’educazione dei giovani.
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