Chi si aspettava, in questo anno galileiano, un boom di pubblicazioni sulla secolare polemica passata alla storia come “il caso Galileo” sarà rimasto un po’ deluso; come pure chi si aspettava la diffusione di nuovi documenti, di rivelazioni, di studi specializzati che potessero gettare nuova luce su una vicenda continuamente dibattuta. Salvo sorprese negli ultimi mesi dell’anno e salvo pochi testi, già richiamati su queste stesse pagine, Galileo non si è fatto particolarmente notare nelle vetrine delle librerie; forse è mancato un Dan Brown che andasse a rovistare negli archivi delle università di Padova e di Pisa o inventasse qualche messaggio in codice nascosto tra le tante lettere che Galileo ha scritto a scienziati, diplomatici ed ecclesiastici dell’epoca. Sta di fatto che il grande pubblico ha sentito l’eco di importanti convegni, come quello di Firenze del maggio scorso; qualcuno è andato a visitare le mostre nelle città galileiane Firenze e Padova e nella poco galileiana Rimini (al Meeting); ma per chi volesse approfondire, soprattutto alla ripresa dell’anno scolastico, sono poche le novità.



Tra queste spicca il volume, Cose mai viste. Galileo, fascino e travaglio di un nuovo sguardo sul mondo nel quale il curatore Paolo Ponzio, docente di Storia della Filosofia all’università di Bari, è riuscito a mettere insieme un pool di autori che comprende alcuni tra i maggiori studiosi della vicenda galileiana e del contesto scientifico del XVII secolo. «Abbiamo voluto – ci ha detto Ponzio – mettere l’accento sullo stupore di fronte a una scoperta, sul fascino che suscita l’accadere di qualcosa di nuovo, l’avvenimento di una nuova conoscenza della natura».



Il volume coniuga approfondimento e semplicità comunicativa, ponendo in questione alcuni temi centrali della vicenda scientifica di Galileo dal periodo della pubblicazione del Sidereus Nuncius, circa 400 anni fa, sino alla condanna del copernicanesimo ad opera della Congregazione del Sacro Indice nel 1616. «È questo un arco temporale ben preciso nel quale si snodano fatti, avvenimenti, successi e critiche che costituiscono il punto di partenza per una comprensione del “caso” Galilei nella sua totalità».

Una comprensione che ancora tarda ad affermarsi a livello di opinione pubblica. «A quattrocento anni dalle sue scoperte astronomiche, Galileo Galilei continua a far parlare di sé scienziati, filosofi e teologi, ognuno secondo la propria prospettiva e competenza, alimentando – ancora una volta – vecchi stereotipi che ripropongono contrapposizioni ideologiche e semplificazioni mitologiche. Eppure nel 1992, Giovanni Paolo II, a conclusione dei lavori della Commissione di studio su Galileo – da lui stesso voluta, una decina di anni prima, – richiamava lo sforzo costante di «sintesi delle conoscenze e di integrazioni del sapere», senza il quale sarebbe stato difficile, se non impossibile, «un’equilibrata riflessione, attenta a notare l’articolazione dei saperi».



Con questo sguardo diventa interessante anche ogni indagine su aspetti specifici del mosaico galileiano: a partire dalla novità conoscitiva introdotta dall’impiego del cannocchiale come strumento di osservazione astronomica e più in generale dall’applicazione del metodo sperimentale. «Pur non sapendo, se non per via ipotetica, quale sia stato il giorno esatto in cui Galileo Galilei punta il suo “occhiale” verso il cielo, iniziando una delle esperienze scientifiche più affascinanti e avvincenti della storia della scienza di ogni tempo, si può essere certi di un aspetto incontrovertibile: le sue scoperte astronomiche hanno determinato una rivoluzione pari, se non addirittura maggiore, a quella determinatasi all’indomani della scoperta dell’America nel 1492».

Inevitabile quindi porsi domande del tipo: qual è il percorso scientifico e tecnico di Galileo? Quando inizia la verifica dell’ipotesi eliocentrica? Quali sono le immagini scientifiche con le quali inizia le sue osservazioni con il telescopio? Quali le conseguenze nell’ambito filosofico e teologico?

Sono solo alcuni degli interrogativi ai quali tentano di rispondere gli studiosi radunati da Ponzio. Come Owen Gingerich, professore emerito di Storia della scienza alla Harvard University, che confronta l’opera di Galileo col tentativo di Keplero di dare una base fisica all’astronomia; confronto integrato da Pasquale Tucci, ordinario di storia della fisica alla Statale di Milano; o come William Shea, titolare della “Cattedra Galileiana” dell’Università di Padova, che descrive il modo personale galileiano di utilizzare il cannocchiale e di rappresentare quello che vedeva; o come S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, che parte da Galileo per una riflessione sul cielo. E ancora, i contributi di taglio più fisico, di Piero Benvenuti, ordinario di Astrofisica all’Università di Padova e vice-commissario all’Agenzia Spaziale Italiana, di Gianni Bonera professore emerito di Fisica Generale all’Università di Pavia, Giuseppe Molesini, dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata del Cnr. Infine Melchor Sánchez de Toca Alameda, teologo e sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Cultura, ricostruisce i rapporti di Galileo con la Chiesa, da quei tormentati momenti fino ai lavori della Commissione di studio voluta da Giovanni Paolo II.

Così Ponzio sintetizza lo spirito che ha guidato unitariamente il lavoro: «Due aspetti hanno animato e sostenuto i vari contributi: da una parte quello di non voler chiudere le tante questioni legate alla vicenda galileiana in modo dogmatico o “apologetico”; dall’altro, l’esigenza di sintesi e integrazione delle conoscenze senza avere l’audacia di voler offrire un quadro esaustivo e completo dei tanti problemi affrontati dallo scienziato pisano».