Esce domani, annunziato da una nutrita compagine di recensioni, critiche e controcritiche nazionali e internazionali, il nuovo libro di Massimo Piattelli Palmarini e di Jerry Fodor. Gli errori di Darwin (Feltrinelli) è un attacco laico sferrato da due intellettuali eminenti (psicologo cognitivo il primo, filosofo della mente il secondo), con lo scopo di minare alle fondamenta la teoria dell’evoluzione darwiniana. Ma non ci riesce. Vediamo perché.
Il libro è articolato in due sezioni principali: la prima, l’argomento biologico, raccoglie ed espone tutti quei dati e quelle acquisizioni sperimentali che erano sconosciute all’epoca della formulazione della cosiddetta Sintesi Moderna degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. La Sintesi unisce genetica classica mendeliana e darwinismo per spiegare il percorso evolutivo degli organismi viventi: l’evoluzione è intesa come un lento, graduale meccanismo di selezione ambientale non casuale (interpretabile come un metaforico setaccio) di variabili genetiche insorte casualmente (un mix di caso e necessità, per dirla con le parole di Monod).
Fuori dalla cornice teorica della Sintesi sono rimasti però alcuni campi di indagine contemporanei: due su tutti, la biologia evolutiva dello sviluppo (evo-devo), che ha preso forma come disciplina autonoma negli ultimi vent’anni, e l’epigenetica. Si tratta di discipline che stanno conoscendo un enorme successo: le riviste a tema si moltiplicano e le novità che promettono di apportare all’interno della cornice evolutiva sono di prima importanza.
L’evo-devo ci mostra come durante lo sviluppo embrionale possano sorgere novità potenzialmente selezionabili (ma anche come non possa sorgere qualunque novità evolutiva). In questo contesto, alcuni parlano di “arrivo del più adatto”, da affiancare alla famosa “sopravvivenza del più adatto”. L’epigenetica ci indica come cambiamenti della conformazione tridimensionale del DNA, causati dall’interazione DNA-ambiente, possano essere in alcuni casi mantenuti attraverso le generazioni. C’è poi la Systems Biology, che ci mostra quelle proprietà emergenti dalle reti biologiche (geniche, enzimatiche) che spingono i biologi e i teorici della complessità a formulare nuovi modelli esplicativi.
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Ancora, i fenomeni della plasticità del fenotipo (cioè dell’ “aspetto esterno” di un vivente) e dell’assimilazione genetica spingono a considerare come bidirezionale il passaggio di informazione biologica: dal genotipo (il corredo genetico) al fenotipo, ma anche dal fenotipo al genotipo. Il libro contiene anche una sezione dedicata alla descrizione delle “leggi della forma”, risalenti alle opere famose di D’Arcy Thompson.
In sintesi, gli autori vogliono sottolineare l’importanza di quei vincoli interni che regolano lo sviluppo e la vita degli organismi, e sui quali la selezione naturale “non ha potere”. Si tratta di fatto di una estremizzazione dell’“attacco al programma adattazionista” sferrato da Gould e Lewontin nel 1979: si critica cioè la tendenza di molti biologi evoluzionisti a fornire “storie proprio così” (just-so-stories) per promuovere un’idea di selezione naturale come agente “onnipotente e ottimizzante” per ogni tratto biologico. Si tratta in effetti di un dibattito storico molto acceso all’interno della filosofia della biologia.
Le discussioni e gli studi seguenti all’articolo anti-adattazionista del 1979 hanno in parte ridimensionato il ruolo della selezione naturale nel forgiare le forme biologiche. Ma certamente non hanno eliminato dallo scenario evolutivo il concetto di selezione naturale. Gli autori di questo nuovo libro, invece, nella seconda parte presentano argomenti logici e filosofici che li fanno propendere per una netta marginalizzazione dell’azione della selezione naturale.
In estrema sintesi Fodor e Piattelli-Palmarini affermano che, poiché i tratti biologici sono altamente correlati l’uno con l’altro, risulta impossibile stabilire con certezza quale venga selezionato in natura, quello ipotizzato da una spiegazione adattativa oppure un suo tratto correlato non adattativo (un “battitore libero”, free-rider). Di conseguenza, la selezione naturale sarebbe del tutto impossibilitata a rendere conto dell’esistenza dei tratti biologici e sarebbe quindi da abbandonare come strumento esplicativo.
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Ma si tratta di un falso problema: quello che spesso riescono a fare con successo i biologi evoluzionisti è proprio scoprire quale tratto sia (o sia stato) più adatto all’ambiente in una contingenza storica, causando una maggiore riproduzione delle specie che lo possiedono, con conseguente trasmissione transgenerazionale dello stesso; ciò può essere fatto testando, se necessario, ipotesi esplicative diverse da verificare sul tratto adattativo “indiziato” o sul suo free-rider.
Il fatto che attraverso un setaccio passino palline blu di un diametro inferiore all’ampiezza delle maglie, mentre non passano quelle arancioni di diametro maggiore, non rende impossibile stabilire quale caratteristica sia determinante per attraversare il setaccio: il fatto che esista una correlazione tra diametro e colore della pallina è ininfluente ai fini di stabilire che è proprio il diametro della sfera il fattore decisivo per il passaggio del setaccio e non il suo colore (l’esempio è del filosofo della biologia Elliott Sober, ripreso e criticato dagli autori del libro, ma difeso da Ned Block e Philip Kitcher nella recensione dello stesso per Boston Review of Books).
Gli autori del libro sono, giustamente, molto critici nei confronti della “sacra triade ultradarwiniana”, rappresentata da Dawkins, Dennett e Pinker, che tende ad allargare a macchia d’olio spiegazioni adattazioniste applicandole ben oltre l’ambito della biologia evolutiva (si veda il caso esemplare della psicologia evoluzionistica). Ma nella loro critica finiscono per “buttare via il bambino con l’acqua sporca”: in questo caso “il bambino” è la selezione naturale tout court. Ma per confrontarsi con interessanti alternative alle estrapolazioni “ultradarwiniste” basta leggere qualche libro del grande Stephen Jay Gould.
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Effettivamente la teoria dell’evoluzione si sta evolvendo. Sempre in questi giorni è in uscita il libro che raccoglie gli atti di un congresso tenutosi ad Altenberg (Austria) due anni fa, presso il Konrad Lorenz Institute for Evolution and Cognition. Alcuni tra i maggiori evoluzionisti, teorici dell’evoluzione e filosofi della biologia stanno infatti producendo ingenti moli di materiale empirico e concettuale, per indagare quanto la Sintesi Moderna non affrontò o non poteva affrontare. In questo approfondimento può rientrare tutto quello che Fodor e Piattelli Palmarini espongono nella prima parte del libro.
Oggi però – diversamente da quanto proposto dagli autori de “Gli errori di Darwin”, che spingono per un abbandono della Sintesi Moderna e del concetto di selezione naturale – la via più proficua da battere sembra essere quella di un ampliamento della cornice evolutiva di riferimento offerta dalla Sintesi. È quella che stanno percorrendo Massimo Pigliucci e Gerd Müller, che hanno appena ripubblicato una nuova edizione dell’opus magnum della biologia evolutiva moderna – Evolution: The Modern Synthesis di Julian Huxley (MIT Press) – corredata di una splendida introduzione dei due curatori e affiancata da uno dei primi volumi tematici sulla Sintesi Estesa che ci mostra come, nella continuità, siamo pronti ad estendere la Sintesi Moderna senza dimenticarla.
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Il dibattito sulla Sintesi Moderna
Alcune proposte ampliative della Sintesi Moderna si possono trovare in:
• M. PIGLIUCCI, Do we need an Extended Evolutionary Synthesis?, in Evolution 61 (2007) 2743-2749.
• M. PIGLIUCCI, An Extended Synthesis for evolution, in Annals of the New York Academy of Sciences 1168 (2009) 218-228.
• E. JABLONKA & M. J. LAMB, L’evoluzione in quattro dimensioni, UTET, 2007;
• M. J. WEST-EBERHARD, Developmental plasticity and evolution, Oxford University Press, 2003;
• S. F. GILBERT & D. EPEL, Ecological developmental biology, Sinauer 2008;
• M. PIGLIUCCI & G. MÜLLER, Evolution: The Extendend Synthesis, MIT Press, 2010.