In questi giorni che precedono il Meeting di Rimini dedicato alla “Emergenza uomo”, è di grande stimolo la rilettura di una delle ultime opere di Teilhard de Chardin, La singolarità della specie umana, pubblicata da Jaca Book a cura di Ludovico Galleni (che offre, in chiusura, una efficace postfazione su “Rileggere e rispiegare Teilhard de Chardin”). Non solo il tema è di notevole attualità, pur considerando i grandi avanzamenti delle bioscienze in questi sessant’anni, ma le preoccupazioni del gesuita geologo e antropologo, espresse lungo tutto il saggio, trovano sorprendenti affinità con i motivi al centro degli incontri e degli eventi che vivacizzeranno la manifestazione riminese. A cominciare dalla constatazione della «scarsa considerazione in cui viene tenuto dalla Scienza il Fenomeno umano» o dall’interrogativo, che possiamo già immaginare risuonerà in molte tavole rotonde del Meeting, «come è possibile osare di attribuire un’importanza strutturale nell’Universo a questo infinitesimo, a questo accessorio, a questo “secondario”?». In effetti, non sono ancora tramontati, anzi forse sono maggiormente diffusi, i giudizi che portano l’uomo a essere «trattato come un accidente o un incidente nella Natura»: si pensi a tanta retorica ecologista o ad alcune discussioni sui temi bioetici. Ma anche lo scenario da cui prende le mosse la riflessione teilhardiana è di impressionante attualità: è lo scenario delle paure contemporanee, rese sempre più acute da un contesto culturale, sociale e geopolitico fragile e instabile. Lo scienziato ne indica tre: la paura di «essere perduti in un mondo così grande e così pieno di esseri indifferenti od ostili, che l’Umano sembra decisamente non significare più nulla»; poi la paura di «essere ridotti all’immobilità» in un modo freneticamente in movimento ma carente di mete e di orizzonti; infine quella di essere «chiusi, imprigionati in un mondo irrimediabilmente chiuso». Il pensiero corre immediatamente, con quest’ultima paura, alla forte immagine utilizzata da Benedetto XVI nel discorso al Bundestag, a quegli «edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli», con i quali si può raffigurare «la ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale».
Teilhard proietta queste paure sulla scala della specie ma proprio per questo può indicare altrettante singolarità in grado di trasformare ansie e paure in «un solido gusto di vivere». La prima è la capacità di riflettere, manifestando la singolarità e assoluta unicità dell’uomo nel riconoscersi non solo come “un essere che sa” ma “un essere che sa di sapere”; quindi immettendo nella scena dell’universo il fenomeno di “una coscienza alla seconda potenza”. La seconda è la capacità di riflettere su se stesso e di attivare una co-riflessione, che si tramanda nella storia attraverso un movimento di crescita e di innalzamento «nella direzione che sale dove, tecnicamente, mentalmente e affettivamente tutte le cose (in noi e attorno a noi) più rapidamente convergono». Infine il punto critico della ultra (o sopra) riflessione, che spinge il binomio complessità-coscienza al suo massimo livello espressivo. Nella sua profonda ricognizione della storia evolutiva, Teilhard traccia i passi salienti che hanno portato all’Homo sapienza e all’intrecciarsi sopra il Pianeta, al di sopra della biosfera, di quella che viene chiamata Noosfera, cioè la “membrana continua di pensiero”, il mondo dell’Universo “pensato”. È il racconto di uno “sbocciare” dell’uomo, che l’autore giudica “semplicemente meraviglioso”; osservando però tristemente che, di fronte ad esso «al contrario, invece di ammirare, molti cominciano ad avere paura». Teilhard si ribella alle visioni apocalittiche o comunque pessimistiche e, pur senza ingenuità e semplificazioni, prospetta la possibilità per l’uomo di riemergere, di proseguire nel movimento di crescita e di autocoscienza. Con un suggerimento metodologico quanto mai prezioso nel nostro contesto attuale: «Cerchiamo dunque di vedere se, all’ansia che ci crea in questo momento il nostro rischioso potere di pensare, non sarà possibile sfuggire semplicemente pensando ancora meglio»; salendo in alto, «sopra gli alberi che ci nascondono la foresta», cioè gli alberi delle crisi e delle tensioni che «occultano l’orizzonte» per cogliere in tutta la sua portata «lo straordinario (e così misconosciuto!) Fenomeno umano».