Per ‘trasmettere i valori che stanno alla base della scienza’, forse non era necessario scomodare Harry Potter; ma per come lo fa Marco Ciardi in questo libro – Galileo & Harry PotterLa magia può aiutare la scienza?, Carocci editore – si può ben dire che il tentativo non era poi così privo di senso. Se si riesce a superare l’istintiva repulsione che ci può prendere nell’accostare le due figure messe nel titolo, si troveranno alcune sottolineature e alcuni interrogativi interessanti suscitati dal contrasto tra il diffuso interesse per le pratiche magiche e la limitata propensione dei giovani italiani per le carriere scientifiche.

L’autore peraltro si affretta a tranquillizzarci, onde evitare possibili equivoci, dichiarando subito la sua collocazione ‘dalla parte della scienza’; non è però insensibile al fatto che le storie del maghetto ideato dalla Rowling, facciano sui ragazzi più presa di quanto ne riescano a fare i racconti delle scoperte dei grandi scienziati; e la cosa non riguarda solo i ragazzi. Citando un recente saggio di Massimo Polidori, Ciardi ripropone i dati dei celebri sondaggi Gallup dai quali emerge che in America tre persone su quattro credono ai fenomeni paranormali e di questi un terzo è seriamente convinto che esistano i fantasmi. Da noi la situazione non è molto diversa: “secondo un’indagine dell’Eurisko, gli italiani che credono all’astrologia sono il 37%, quelli che credono al malocchio il 32% e allo spiritismo il 31%”.

Ciardi si dissocia da Piergiorgio Odifreddi che aveva scritto: «Come può lo stesso giovane imparare a pensare razionalmente se da bambino si appassiona alle imprese fantastiche di Harry Potter o de Il Signore degli Anelli?». E tende addirittura a ribaltare la questione, arrivando a chiedersi se non sia possibile che «la lettura delle imprese di Harry Potter stimoli la creatività anche in campo scientifico e renda scienziati migliori».

Sulla dissociazione da Odifreddi si può concordare. Il problema di un corretto approccio alla scienza è legato alla efficacia delle proposte didattiche offerte ai ragazzi; proposte che sappiano educare alla razionalità secondo tutta l’ampiezza delle dimensioni dell’esperienza scientifica, da quella concettuale a quella sperimentale a quella storica; e che riescano a distruggere dall’interno eventuali precomprensioni errate di che cos’è la scienza. Va aggiunta la considerazione che un’immagine distorta di scienza non viene indotta nei ragazzi principalmente dalla lettura di storie magiche o fantastiche: deriva piuttosto dalla poca conoscenza del reale modo di conoscere della scienza, del suo metodo e anche di come si sono effettivamente svolti i fatti che hanno portato storicamente alle scoperte e alle teorie scientifiche.

In effetti il libro è, in buona parte, un saggio di storia della scienza o comunque di una storia che intercetta quella scientifica attraverso personaggi come Nostradamus, il cui nome è avvolto da ‘un alone di mistero e di leggenda del tutto ingiustificato’; o come il poeta romantico Samuel Taylor Coleridge; o la scrittrice Mary Shelley, autrice di quel Frankenstein considerabile come ‘il primo autentico romanzo di science fiction’.

Tornando al punto della visione inadeguata della scienza, si può condividere l’opinione di Ciardi che ritiene più negativo di quanto non lo sia l’influsso di Harry Potter quello che invece esercita sui giovani un certo modo di comunicare la scienza e soprattutto di presentare le innovazioni tecnologiche ‘come magia’, senza stimolare la domanda sui loro processi interni, sulla loro genesi e sulle implicazioni del loro utilizzo. Sta qui forse una risposta alla domanda spontanea: ‘Come mai lo sviluppo della scienza non ha portato alla scomparsa delle leggende e delle superstizioni?’. Come molti hanno osservato, ‘non si convincono i fanatici con la logica’. Ecco allora, a nostro avviso, la proposta alternativa, o se vogliamo l’antidoto, che non potrà che essere basato sulla prospettiva di riportare in primo piano, anche nella scienza, la reale esperienza vissuta da coloro che l’hanno praticata e la praticano. Sarà così possibile vedere la razionalità all’opera nel rapporto con la realtà; ma una razionalità che non si riduce a delle procedure, che sa distinguere i diversi domini del sapere e sa riconoscere i limiti delle proprie teorie.

In forza di questo, i grandi scienziati piuttosto che rinchiudersi nello specialismo, fino a diventare i custodi di un sapere esoterico, si sono sentiti liberi di spaziare liberamente nei campi più disparati – dagli oroscopi confezionati da Galileo, all’alchimia praticata da Newton – sicuri della propria capacità di applicare il necessario rigore agli studi della loro disciplina scientifica e della serietà, propria e dei colleghi, nel sottoporre al severo controllo sperimentale ogni nuova idea teorica. Valga per tutte la riflessione di un grande storico della scienza come Gerald Holton: «In un momento in cui la veemente irrazionalità diffusa sul pianeta insidia il destino stesso della cultura occidentale, le scienze e la storia del loro sviluppo restano forse la testimonianza migliore della capacità di ragionare dell’umanità e di conseguenza se non ci preoccuperemo di comprendere e di rivendicare con orgoglio la nostra storia, non avremo reso pienamente giustizia alle nostre responsabilità di scienziati e di insegnanti».

Quanto alla domanda più ambiziosa, se la lettura dei libri della Rowling possa favorire la creatività e la produttività scientifica, qui il discorso si fa un po’ più oscuro. In più punti Ciardi tesse l’elogio dell’immaginazione e della sua importanza nell’esperienza della scoperta scientifica: cita Galileo, grande lettore dell’Iliade e dell’Orlando Furioso; e ricorda il biochimico Max Perutz, premio Nobel 1962, che assimilava la scienza all’arte affermando che entrambe hanno ‘bisogno di immaginazione’.

Ma un conto è l’immaginazione creativa, altro è la magia. Un conto è dire, come Perutz, che ‘ogni scienziato dovrebbe studiare non solo ciò che gli interessa ma ampliare la sfera delle varie discipline’; altro è vedere nel magico e nell’occulto dei possibili contributi per la formazione scientifica. Ciardi non dice espressamente questo; ma chiama il suo un ‘viaggio tra scienza, magia e fantasia’; e con una ricorrente mescolanza disinvolta dei riferimenti induce il sottile sospetto che si possa equiparare l’immaginazione alla magia, l’intuizione alla improvvisazione irrazionale, la creatività alla manipolazione irrispettosa della realtà. È difficile poi non restare perplessi quando l’autore, nell’affermare che ‘probabilmente… leggendo favole e fantasy… si diventa scienziati migliori’, esemplifica abbinando ripetutamente Harry Potter a Il Signore degli Anelli. Insomma, c’è fantasy e fantasy!