Uno dei passi principali del discorso per la fiducia al Senato dell’allora premier incaricato Mario Draghi ha riguardato l’importante tema della diseguaglianza economica. Questo il passaggio chiave: “Gravi e con pochi precedenti storici gli effetti sulla diseguaglianza. In assenza di interventi pubblici il coefficiente di Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima), di 4 punti percentuali, rispetto al 34,8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni”. A cosa si riferisce in particolare il premier?
Tra i numerosi indici atti a quantificare il livello di diseguaglianza, la misura citata da Draghi (proposta dal noto statistico Corrado Gini nel 1912) si è affermata negli anni come il gold standard nelle indagini statistiche ufficiali quali, ad esempio, quelle condotte dalla Banca mondiale, dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd) oltre che da molti istituti centrali di statistica quali Eurostat e l’Istat in Italia. Tale indice è di facile interpretazione: esso, infatti, varia da 0 a 100, assumendo il valore pari a 0 nel caso di perfetta equità della distribuzione del reddito, cioè quando tutti gli individui percepiscono lo stesso reddito, e un valore pari a 100 nel caso di massima diseguaglianza, cioè quando un solo percettore di reddito detiene tutto il reddito dell’economia e tutti gli altri hanno reddito pari a zero.
La diseguaglianza così misurata, afferma Draghi, è cresciuta nell’ultimo anno. in conseguenza della pandemia. Invero, la crescita della diseguaglianza in Italia non è un fenomeno nuovo e costituisce, al contrario, una caratteristica persistente negli ultimi anni. Il citato indice, infatti, ha toccato un minimo pari al 32,9% nel 2007 per poi crescere costantemente fino al 35,9 nel 2017 (ultimo anno per il quale si dispone del dato ufficiale calcolato dalla World Bank). Per avere qualche elemento di confronto, va rilevato che la media dell’indice nei paesi dell’Unione Europea nel 2017 era 31,3 %: solo Bulgaria, Lituania e Romania hanno dunque una situazione peggiore del nostro paese (vedi Figura 1). A livello mondiale la media nel 2017 era pari a del 36,1 con un minimo registrato dalla Slovenia (24,2%) e un massimo in Brasile (53,3 %).
Trattandosi di un parametro stimato, esistono versioni differenti dell’indice a seconda dei dati di partenza che vengono utilizzati, se si tratti di redditi netti o lordi, inclusivi o meno delle componenti figurative eccetera. Ad esempio, Oxfam-Italia, utilizzando i dati di Eurostat, stima che l’Italia sia passata dal 31,2% nel 2007 al 33,4% nel 2017, confermando la crescita rilevata dalla World Bank. L’Istat per il 2017 stima il 33,7%. A prescindere però dal dato assoluto (che, come detto, può variare a seconda del criterio utilizzato), in tutti i casi è confermato un marcato trend di crescita nel nostro paese negli ultimi anni. Il dato più recente citato da Draghi nel suo discorso al Senato, pure basato su una stima, è dunque perfettamente comprensibile: seguendo il trend degli ultimi anni, nell’anno di pandemia il fenomeno si è acuito ulteriormente, dato che molti individui hanno visto diminuire il proprio reddito in conseguenza delle chiusure e del calo della domanda in alcuni settori dell’economia, mentre altri settori stanno sperimentando una crescita.
Figura 1: Indice di diseguaglianza di Gini nel 2017 nei paesi Ue. Fonte: World Bank
In un altro passaggio del suo discorso Draghi afferma: “L’aumento nella diseguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della pandemia li hanno rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi”.
Ma perché la diseguaglianza economica è così importante? Certamente si tratta di un’attenzione ai temi della giustizia sociale. Ma è solo per questo che l’ex Governatore della Bce considera questo dato così rilevante?
In realtà, osservando i dati empirici di vari paesi a livello mondiale, si osserva come elevati livelli di crescita del reddito pro-capite sembrano il più delle volte portare all’acuirsi della concentrazione dei redditi nelle mani di pochi percettori e, dunque, ad una maggiore diseguaglianza. La sua crescita, dunque, non sembrerebbe un male in sé. Tuttavia, non si può interpretare questo meccanismo come la possibilità che crescita economica e diseguaglianza possano convivere a lungo, in quanto livelli elevati di diseguaglianza instaurano un meccanismo di causa-effetto di segno opposto, il quale tende a rallentare la crescita. In assenza di interventi redistributivi ciò può innestare una spirale che, nelle fasi mature dell’economia, può condurre all’implosione del sistema economico: una spirale regressiva che può (e deve) essere arrestata solo con un deciso intervento redistributivo.
Non è, dunque, innanzitutto un problema etico di lotta alla povertà e di solidarietà sociale sul quale si possono avere posizioni diverse e ai quali si può decidere di dedicare risorse differenti a seconda delle proprie inclinazioni politiche. È essenzialmente un problema di sopravvivenza di un sistema economico che da tali inclinazioni prescinde.
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