Ieri Leonardo ha presentato la nuova joint venture con la società tedesca Rheinmetall. L’obiettivo della nuova società è lo sviluppo e la produzione di veicoli da combattimento: il nuovo carro armato delle forze armate italiane e il nuovo veicolo corazzato per il trasporto truppe. In entrambi i casi il programma avrà come base veicoli sviluppati dall’azienda tedesca. Questa joint venture contribuisce a dare una forma agli impegni italiani ed europei in tema di sicurezza ed è uno dei capitoli di uno sforzo che include anche l’aviazione e la marina.



Il programma, che include centinaia di mezzi, vale per il Governo italiano, secondo gli analisti, circa 23 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. C’è una ricaduta industriale perché il 60% delle attività verrà svolto in Italia e poi c’è una ricaduta finanziaria perché questi investimenti dovranno trovare spazio nel budget del Governo italiano. In questi giorni si discute, faticosamente, di una tassa sugli extraprofitti del sistema bancario che vale quanto si spenderà per questo programma in un solo anno. L’obiettivo delle privatizzazioni del Governo italiano per i prossimi tre anni, circa 20 miliardi di euro, è un numero simile all’investimento necessario per questo programma. Le stime di costo vengono fatte con i prezzi di oggi, ma nulla impedisce, nei prossimi dieci anni, che i prezzi “peggiorino” per l’inflazione. Dato che questi programmi sono una priorità e che il Governo è un ottimo pagatore il conto per le casse statali potrebbe anche peggiorare.



Si può ovviamente ipotizzare che gli investimenti in difesa vengano considerati “a parte” dall’Unione europea oppure che vengano finanziati “dall’Europa”. Questo può contribuire ad aiutare lo Stato italiano, ma non risolve il problema. Gli operai, l’acciaio e le altre componenti necessarie a questo programma sono una risorsa scarsa, tanto più in questa fase di deglobalizzazione, e quindi la domanda che viene dalla difesa sottrae l’offerta, di personale e materie prime, disponibile per gli altri settori. La difesa costa in qualunque caso; più l’economia è florida, più questi costi sono sostenibili e viceversa. In un’economia in crisi o con problemi strutturali, come sicuramente è quella europea, il costo diventa rilevante anche in termini sociali.



Una delle tre azioni che Mario Draghi ha suggerito all’Europa qualche settimana fa per tornare a una crescita sostenibile è la “sicurezza”. In quel rapporto si rilevava la difficoltà di tenere insieme gli investimenti in innovazione, decarbonizzazione e sicurezza (le tre azioni del rapporto) senza compromettere l’inclusione sociale. L’equazione veniva risolta con investimenti pubblici e privati. Anche in questo caso, però ,i risparmi privati che alimentano gli investimenti in difesa vengono sottratti ad alti settori e anche nel caso di nuova emissione di moneta il costo si materializza sotto forma di inflazione perché un numero maggiore di banconote insiste sulla stessa quantità di forza lavoro e materie prime.

Per l’Europa e per l’Italia chiudere il cerchio della competitività, della difesa e della decarbonizzazione non è facile. Gli investimenti in difesa accelerano solo ora, ma saranno una costante del prossimo decennio. Il costo di questi piani rischia di rimanere sommerso, anche nella “narrazione”, e riemergere in forme non scontate e non ovvie che potrebbero prendere la forma, per esempio, di automobili o elettrodomestici sempre più cari in rapporto al reddito o di servizi, come quelli turistici, che assorbono quote crescenti dei salari. Se i conti sono sbagliati l’equazione si chiude comprimendo forzosamente i consumi; a scoppio ritardato e senza pubblicità per l’insostenibilità dei costi da parte delle famiglie. Ufficialmente non è cambiato niente, ma in realtà è cambiato tutto.

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