Già, senza fiato. Lascia così, secondo il Corriere della Sera, il racconto del film francese L’Evénement, e lascia così la sua vittoria al festival di Venezia. Motivo secondo: va bene non essere campanilisti come i francesi, però proprio sempre far vincere un film straniero significa autolesionismo. Motivo primo: un film dichiaratamente a favore dell’aborto, di più, letto come occasione di riscossa femminile e del proletariato.



Ora, il film non l’ho visto, sarà bellissimo, come opera artistica, e parlare di quel che accade nell’intimo di una donna è difficile e fa trepidare, e per di più è ambientato in un tempo decisamente misogino e crudele. No, stavolta non è il Medioevo, sono i vicinissimi anni 60, ma capite bene che dover ricorrere a una mammana per non perdere il posto di lavoro non è esattamente quel che una ragazza chiede alla società, pur benpensante e moralista. Ok. Tuttavia, nel racconto “senza fiato” si parla del nostro attonimento, di quello della possibile madre, mai un accenno al respiro di un bambino che non fiaterà mai, perché gli è stato negato. Per nobilissime ragioni di diritti personali, solo che anche lui sarebbe persona.



E qui è il nodo, sempre cruciale ogni volta che si discute di interruzione della gravidanza: dunque, per voi che ritenete l’aborto un diritto giusto e progressista, quell’essere cui batte il cuore e si muove capriolando nell’utero non è una vita? E cos’è? E perché accettate che questa non-vita venga architettata e costruita in laboratorio, mescolando Dna e affittando sperma, ovaie e contenitore in cui infilarlo perché cresca? A cosa pensate, quando credete che scegliere da un catalogo seme e ovulo significhi far nascere un bambino, se quando il “prodotto” è avviato potete gettarlo via? Anche filosoficamente contraddittorio, “per la ragion che nol consente”. Ridicolo. E disumano.



Ma purtroppo, e qui è l’ennesimo motivo per non gioire del Leone d’Oro a Venezia, siamo ormi abituati a rincorrere il politically correct, a esaltare le minoranze a scapito delle maggioranze, e quindi un anno vince un film su una pletora di disadattati anziani in camper in giro per il mondo, un anno la storia tragica di una giovane che non riesce ad abortire ma lo chiede con tutta se stessa. Mai attenzione a una vita “normale”, con tutte le sue gioie e croci, mai la famiglia, ad esempio, se non come nefasto gorgo di abusi, mai.

Sorrentino ci ha regalato bellezza, ironia, riflessioni profonde, sa sfiorare il mistero, del mondo e dell’uomo. Pare che questa sua ultima opera sia più che apprezzabile (no, “senza fiato” non  l’ha detto nessuno, e dire che al mainstream culturale Sorrentino aggrada assai, ad esempio quando sbertuccia la Chiesa). Ma non ci sono elementi divisivi, è solo il racconto di sé, tra gratitudine e meschinità e sguardo al destino. Cosucce. Gli si dà un contentino, e ci si prepara alla prossima vittoria.

Suggerirei di guardare alle produzioni afghane, vedi mai che salti fuori la vicenda struggente di un talebano ispirato e voglioso di vendetta per i cattivi occidentali. Dopotutto, non sono mica terroristi.

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