I media risuonano ancora degli echi di una doppia missione italiana in Europa: quella della premier Giorgia Meloni e quella del predecessore Mario Draghi, entrambi ospiti del vertice della Comunità politica europea tenutosi a Budapest sotto la presidenza di turno Ue dell’Ungheria di Viktor Orbán. Meloni ha lanciato un messaggio geopolitico chiaro, all’indomani del voto presidenziale negli Usa: “Di Trump non bisogna aver paura, l’Europa si prepari a dialogare con lui”. Con qualche accento diverso, la stessa linea è stata espressa da Draghi, in veste di super-advisor della Commissione Ue per la competitività dell’Azienda-Europa: “Con Trump le cose non cambieranno necessariamente in negativo”.
Poche ore dopo sono giunti a Roma i riflessi di una diversa – ancorché contemporanea – missione italiana all’estero: quella del Presidente della Repubblica in Cina. Sergio Mattarella ha incontrato il paramount leader di Pechino Xi Jinping, che ha giudicato la visita come “ripartenza dei rapporti fra Italia e Cina”, con un chiaro riferimento al congelamento dell’adesione italiana alla cosiddetta “Via della Seta” deciso dal Governo Meloni su pressing degli Usa a guida Biden. Mattarella, dal canto suo, ha chiesto alla Cina di intervenire per “fermare l’aggressione russa all’Ucraina”.
Nella cornice del viaggio in Cina è rientrata anche l’istituzione di una “cattedra di cultura italiana” presso l’Università di Pechino. Per la precisione, John Elkann – presidente di Exor e Stellantis, oltreché editore di Repubblica e Stampa – ha istituito una Agnelli Chair of Italian Culture attraverso la Fondazione Agnelli e il ToChinaHub dell’Università di Torino. Il primo titolare della cattedra – in evidente memoria di Gianni Agnelli – sarà Romano Prodi: ex premier italiano di centrosinistra (con Mattarella capogruppo parlamentare) ed ex presidente della Commissione europea (con Mattarella vicepremier di Massimo D’Alema con delega ai servizi segreti). Da sempre, Prodi, alto broker di relazioni fra Italia e Cina.
Unire i puntini della cronaca è sempre un esercizio insidioso: anche quando i fatti – come quelli sintetizzati qui sopra – sembrano parlare da soli. Non mancano del resto neppure in questi giorni coloro che ipotizzano un qualche “gioco di squadra” – più istituzionale che politico – fra Quirinale e Palazzo Chigi (c’è anche chi lo ha intravisto sul dossier migranti sul fronte incandescente fra Governo e magistratura). Certamente il nuovo attivismo di Draghi (che nei giorni scorsi ha avuto uno scambio di idee anche con la leader Pd Elly Schlein) ha alimentato nuove congetture su una possibile svolta politico-istituzionale che nel 2025 veda Mattarella lasciare il Quirinale dopo 10 anni e lasciare spazio a Draghi, candidato già nel 2022. Questo nel quadro di un riaggiustamento complesso di equilibri geopolitici nel segmento cruciale fra Usa e Ue (senza dimenticare i corridoi mediterranei verso Africa e Medio Oriente).
Del congelamento della guerra russo-ucraina si occuperanno Trump e Vladimir Putin (con la Cina la nuova Casa Bianca si prefigge invece di congelare la situazione di Taiwan e di ridisegnare un ordine commerciale su basi bilaterali). Per convincere Kiev ad accettare un presumibile status quo “coreano”, Trump ha intanto già coinvolto Elon Musk: gestore importante di reti web satellitari in Ucraina e probabile battitore libero nella nuova Amministrazione Usa. Un amico di Meloni, il vulcanico patron di Tesla, Starlink e parecchio altro.
Forse sarà anche per questo che la Faz – il principale quotidiano tedesco – ha inserito la sua corrispondenza da Budapest in evidenza su una home ormai in permanenza occupata dalla crisi della maggioranza rosso-verde di Olaf Scholz. Il titolo era: “Parlare con Trump / L’Europa cerca il suo portavoce”. La foto ritraeva Meloni con Orbán. Nel sommario si leggeva: “Giorgia Meloni in campo”.
Fra tre mesi – dopo elezioni anticipate – a Berlino è probabile torni un cancelliere cristiano-democratico: Friederich Merz, molto diverso da Angela Merkel. Molto più vicino all’idea di Europa della compagna di partito Ursula von der Leyen.
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