Si potrebbe dire che chi narra è tanto più bravo quanto più riesce a coinvolgere un gran numero di persone anche parlando solamente di sé. In questo caso, Valeria Bruni Tedeschi, con Les amandiers, il suo quinto film per il cinema in concorso a Cannes, dimostra definitivamente il suo talento.

I mandorli del titolo sono quelli del teatro di Nanterre in cui sorge una celebre compagnia di teatro che funge anche da scuola di teatro per giovani attori: Bruni Tedeschi ha frequentato quella scuola e nel film, assieme alle sceneggiatrici Noémie Lvovsky e Agnès De Sacy, racconta quella sua esperienza attraverso il personaggio di Stella (Nadia Tereszkiewicz), un alter ego che permette di raccontare l’esperienza in quella scuola diretta da Patrice Chéreau (Louis Garrel), la formazione di vita e dolore, la crescita delle persone dietro cui ci saranno attori e attrici.



Se drammaturgicamente è fatto della materia di cui è fatta la vita (amore, gioia, dolore, morte) lasciata a uno stato quasi brado, senza troppe strutturazioni, il tono con cui questa materia è raccontata fa la differenza: Les amandiers è fatto della stessa passione incessante e incompromissoria di cui è fatta la gioventù, dando il fuoco del melodramma e il realismo della biografia a un canovaccio che potrebbe sembrare logoro, cioè quello dell’annata in una scuola d’arte. 



Bruni Tedeschi mette dentro al film una sincerità, che comunque non le ha mai fatto difetto, a tratti insostenibile, prende il racconto di formazione di una comunità di attori e lo tramuta in un viaggio emotivo dentro i saliscendi di un gruppo di ragazzi e della loro sensibilità, il cuore del film non sono gli eventi a cui i protagonisti rispondono, ma quelle stesse emozioni, di cui si nutrono per creare e interpretare.

Nonostante le apparenze però, Les amandiers non è un film di semplice istinto, di pura immediatezza, anzi per raggiungere quell’effetto sullo schermo Bruni Tedeschi lavora su una messinscena complessa, in grado di equilibrare i primi e primissimi piani di straordinari attori con le scene di gruppo, con le dinamiche in movimento della compagnia, dimostrando un gusto e una sensibilità ormai maturissimi.



Probabilmente la regista e attrice ha realizzato il suo film migliore, quello in cui il livello intimo e quello delle emozioni più universali si fondono, vitale e tumultuoso, consapevole del rischio di chiudersi ma molto generoso nell’andare fino in fondo, nel comunicare quelle emozioni personali a un pubblico il più ampio possibile. Ovvero ciò che sanno fare i bravi narratori.

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