In un mondo dove sembra contare di più la bruttura umana e l’umiliazione, a volte ci si perde. Poche notti fa a causa di qualche vicissitudine mi è successo proprio di perdermi. Ho camminato da sola per il mio quartiere con dentro al cuore un grande dubbio. Mi chiedevo se forse non era il caso di buttare via i miei occhi, la mia sensibilità, la mia folle stranezza. Mi chiedevo: «E se intorno a me stessi seminando solo distruzione?». Insomma volevo letteralmente buttare il mio cuore in un cestino. Ma poi ho riacciuffato le domande più profonde – a tante delle quali purtroppo forse non troverò mai risposta -, i tanti volti delle persone che amo, e il dubbio ha lasciato spazio alla speranza. Ho pensato ad una frase di una poesia di Paul Eluard che avevo letto da poco, “Libertà”: «E per la forza di una parola io ricomincio la mia vita. Sono nato per conoscerti, per nominarti. Libertà». E sono tornata a casa.
Il pomeriggio seguente è venuta a trovarmi un’amica che mi ha ricordato di rimanere fedele solo a quel cerchio di persone che mi destano a sperare e non a dubitare e che qualunque cosa combinassi, sarei sempre sicura del loro abbraccio. Poi mi ha abbracciato forte forte.
In questi giorni pensavo che forse certi fatti devono accadere. Un po’ per rafforzarsi e un po’ per ricordarsi con più potenza dei fatti maestosi che si hanno ancora nel cuore e negli occhi come essere andata a vedere “Les Miserables. The Arena Musical Spectacular“.
Nicole e il suo abbraccio forte, forte mi ha ricordato il vescovo di Digne che per-dona Jean Valjean.
“Les Miserables. The Arena Musical Spectacular“, credo sia uno degli spettacoli che esprima con più purezza e verità la parola misericordia: misericors: miserere, “aver pietà”; e cor, “cuore”. Sant’Agostino commentando l’incontro tra la donna adultera e Gesù direbbe: «Rimasero l’uno di fronte all’altro: miseria e misericordia».”Miser-cor-dare”. “Dare un cuore alla misera”.
“Les Misérables the Arena Spectacular” è una rappresentazione in forma di concerto e una versione ampliata di Les Misérables The Staged Concert. «Al piano nobile del palco suona la maestosa orchestra di oltre 65 elementi, subito sotto l’imponente scenografia suggestione delle barricate La compagnia inglese è composta da 110 persone fra attori, musicisti e staff; 300 sono i costumi in scena». (Avvenire, 12 novembre 2024).
A novembre è arrivato per la prima volta in Italia – Trieste e Milano – ora sta girando per l’Europa e nel 2025 inizierà il tour mondiale. “Les Miz” è un adattamento teatrale del libro di Victor Hugo. Scritto in Francia nel 1980 da Claude-Michel Schonberg (musiche) e da Alain Boublil (testi),debuttò il 24 settembre 1980 al teatro “Palais des Sports” di Parigi. Il grande successo fu poi captato dal produttore Cameron Mackintosh che lo trasportò a Londra realizzandone una versione inglese. La direzione è di Trevor Nunn e John Caird. I testi sono di Herbert Kretzmer per il quale questo lavoro fu una svolta. Bellissima l’espressione che usò in un’intervista: «Mi meraviglio spesso di come quei pochi metri tra il divano di Cameron Mackintosh e la sua porta abbiano cambiato la mia vita». (BBC, 14 ottobre 2020)
La prima messa in scena della versione inglese fu al Barbican Centre nel 1985. E qui c’è del maestosissimo assurdo. Lo spettacolo infatti non ricevette recensioni positive dai critici. Ma il pubblico invece ne rimase tanto entusiasta che lo spettacolo si garantì un posto nel West End ed essere così poi riconosciuto da tutti. Da lì iniziò la sua corsa per diventare quello che oggi è il Musical più longevo al mondo.
Perché fu il pubblico il primo a rimanerne entusiasta? Perché “Les Mis” parla di rivoluzione, di miseria, di libertà, di giustizia, di amore, di misericordia. Dei più grandi struggimenti e ideali che ognuno ha dentro di sé o trova fuori di sé, ma che gli ultimi o le persone semplici sono le prime a com-prendere. «Nessuno spettacolo al mondo – come dice Cameron Mackintosh – ha mai dimostrato la sopravvivenza dello spirito umano meglio di Les Miz, ed è tempo di far cantare di nuovo la gente». (HotSpots Magazine, 18 giugno 2024)
E nessuno com-prende “la sopravvivenza dello spirito umano” come gli ultimi o le persone semplici. Per questo motivo mi sono mangiata le mani quando una mia semplice amica mi ha detto che il motivo per cui non era venuta a vederlo è perché non l’avrebbe capito. Quando probabilmente l’avrebbe amato più di qualsiasi persona in sala. Tanti tra l’altro, e di questo ero entusiasta, giovani.
Gianmario Longoni direttore del Teatro Arcimboldi – che non ringrazierò mai abbastanza, insieme chiaramente alla Compagnia, per aver avuto l’audacia di portare uno spettacolo pensato per arene di oltre 10.000 posti, in un teatro di 2.300 posti e di aver “dovuto fare tutte le peripezie ingegneristiche” perché in scena potessero starci 35 tonnellate di materiale – aggiunge: «Il teatro è rimasto come le chiese, l’unico luogo delle assemblee. Non c’è altro, se non Tik Tok, e noi abbiamo grande responsabilità: la risposta sono la religione e la cultura». (Avvenire, 12 novembre 2024)
E non solo. La responsabilità è dire che la cultura è per tutti. Per i rozzi come me che non hanno mai letto il libro e hanno avuto bisogno dei sottotitoli, e per i semplici come la mia amica. Ma soprattutto, in un mondo di “giusti” e di “tigri”, dove non si sentono piangere i piccoli, dove la bruttura umana induce a guardare in basso e i sogni vengono trasformati in vergogna, la religione e la cultura sono la risposta per gli ultimi. – Penso ai carcerati come il detenuto 24601, Jean Valjean – i primi che Papa Francesco ha ricordato aprendo la porta Santa- : “Look down, look down. Don’t look’em in the eye. Look down, look down“. O alle prostitute come Fantine che per comprare le medicine per salvare sua figlia, sceglie di vendere il suo corpo: “But the tigers come at night. With their voices soft as thunder. As they tear your hopes apart. And they turn your dreams to shame“.
Questo spettacolo dice tutto il contrario.
La storia si sviluppa in Francia nel periodo che va dal 1815 al 1832 e il fil rouge è il detenuto 24601, Jean Valjean. Dopo diciannove anni di lavori forzati per aver rubato solo un pezzetto di pane, è condannato ad essere un reietto e ad essere inseguito dall’ispettore di polizia Javert. L’unico che lo tratta con gentilezza e lo perdona anche dopo aver rubato dell’argenteria, è il vescovo di Digne. Da quel momento decide di cambiare vita abbandonando a poco a poco l’inasprimento che l’aveva divorato negli anni di reclusione. Quel miser-cor-dare oltre a cambiare sé e identità – diventa un nobile sindaco -, lo porta ad aiutare e salvare tante altre povere vite. Un uomo rimasto incastrato sotto un carro, – e qui Killian Donnelly che interpreta Jean Valjean, canta “Who am I?” con una potenza da pelle d’oca – Lo porta ad aiutare Fantine, la figlia Cosette e lo studente Marius – “Bring him home” è un altro colpo di farfalle allo stomaco-. E nel momento in cui gli viene data la possibilità di uccidere Javert non lo fa e lo lascia andare. Javert è un personaggio tragicissimo perché quando vede infranti i suoi inflessibili principi di giustizia dalla pietà di Valjean, si uccide. è un uomo che non riesce a capire la parola misericordia.
Intorno alla figura di Jean Valjean poi c’è tutto il resto. Si parla dell’insurrezione del 5 giugno 1832, dopo che era morto il generale Lamarque. Con le barricate sotto l’orchestra, il sonoro dei colpi di cannone, Enjolras e gli studenti che cantano “Do you hear the people sing?” è vivida la scena, è vivido il loro ideale di speranza, libertà e giustizia.
Si parla di amore corrisposto, tra Marius e Cosette, e amore non corrisposto, tra Marius ed Eponine. “A little fall of rain” credo sia una delle canzoni che esprima con più purezza l’amore incondizionato. Eponine, dopo essere stata colpita da un’arma da fuoco per aver portato una lettera d’amore a Cosette, muore tra le braccia di Marius, cantando: “So don’t you fret, M’sieur Marius I don’t feel any pain” “And rain will make the flowers“.
E infine l’epilogo cantato da tutta la compagnia è il Sublime nello straordinario. Jean Valjean sta per morire di vecchiaia ma prima riesce a rivedere sua figlia Cosette e Marius che nel frattempo si sono sposati. L’epilogo è una preghiera a Dio, un dialogo tra Fantine, Jean Valjean, Cosette e Marius.
Take my love
For love is everlasting
And remember
The truth that once was spoken
To love another person
Is to see the face of God
Do you hear the people sing
Lost in the valley of the night?
It is the music of a people
Who are climbing to the light
For the wretched of the earth
There is a flame that never dies
Even the darkest night will end
And the sun will rise
They will live again in freedom
In the garden of the Lord
We will walk behind the ploughshare
We will put away the sword
The chain will be broken
And all men will have their reward
Will you join in our crusade?
Who will be strong and stand with me?
Somewhere beyond the barricade
Is there a world you long to see?
Do you hear the people sing?
Say, do you hear the distant drums?
It is the future that they bring
When tomorrow comes!
Will you join in our crusade?
Who will be strong and stand with me?
Somewhere beyond the barricade
Is there a world you long to see?
Do you hear the people sing?
Say, do you hear the distant drums?
It is the future that they bring
When tomorrow comes!
“Prendi il mio amore perché l’amore è eterno e ricorda la verità che una volta fu detta: amare un’altra persona significa vedere il volto di Dio“.
“Per i miserabili del cuore c’è una fiamma che non muore mai. Anche la notte buia finirà e il sole sorgerà. Loro vivranno di nuovo in libertà nel giardino di Dio“.
“Senti le persone cantare? Dì, senti i tamburi lontani?è il futuro che portano quando il domani arriva!”
Da uno spettacolo che trasforma la miseria in nobiltà. – “Per i miserabili c’è una fiamma che non muore mai“- esci con il bisogno di una fede più nobile o anche il solo bisogno di lasciare un posto vuoto. Come direbbe la più ribelle astrofisica e atea Margherita Hack, lasciare un posto “a un mistero che c’è certamente“. Ma soprattutto con il bisogno di “vedere il volto di Dio“, un volto che si è fatto carne e ci ricorda che “la felicità suprema è la convinzione di essere amati; amati per se stessi, anzi, diciamo meglio, amati malgrado se stessi“. Victor Hugo
Siamo tutti dei miserabili, siamo tutti a volte “giusti” come Javert, ma come ci ricorda il Natale, siamo tutti chiamati ad essere “il volto di Dio”.
Spero tanto che dopo il tour mondiale torni presto in Italia, per portare Maria a vederlo.