Già lo scorso 18 dicembre 2020, in occasione della Giornata Internazionale dei Migranti, la ong Medici senza Frontiere (Msf) aveva lanciato l’allarme inquietante: «trasferite immediatamente tutti i richiedenti asilo dai campi delle isole greche in una sistemazione sicura sulla terraferma», spiegavano i volontari presenti sull’isola di Lesbo nel campo profughi di Moria, «solo a Lesbo 49 bambini hanno tentato il suicidio». A novembre, il 60% dei pazienti che si sono recati nelle cliniche di Msf ha dichiarato di aver pensato al suicidio mentre il team dell’organizzazione ha rilevato che il 37% era a rischio effettivo suicidio.



Ecco, l’appello viene rilanciato oggi sempre da Msf nell’ultimo rapporto “Hotspot in Grecia: la crisi costituita alle frontiere d’Europa” (qui il testo integrale). La richiesta è netta ed esplicita: i leader dell’Europa devono «riconsiderare radicalmente il loro approccio alla migrazione. Auspichiamo la fine delle attuali politiche di contenimento e deterrenza, che provocano danni evitabili alla salute di migranti, richiedenti asilo e rifugiati».



LA DENUNCIA DI MSF SULLE CONDIZIONI INQUIETANTI A LESBO E MORIA

I dati presentati sono impressionanti e fanno intuire anche a chi vive lontano anni luce dalle situazioni umanamente massacranti di Lesbo di quale portata ha la vicenda: nel 2019 e 2020 le cliniche di salute mentale di Msf a Chios, Lesbo e Samos hanno curato 1.369 pazienti, molti dei quali in gravi condizioni. Affetti da disturbi da stress post-traumatico e depressione, ma non solo: «più di 180 persone curate dalle nostre équipe hanno avuto episodi di autolesionismo o hanno tentato il suicidioDue terzi di loro erano bambini, il più piccolo aveva solo sei anni». I fattori che incidono più di tutti sulla situazione di costante ansia è lo stress della vita quotidiana nei campi profughi e le paure per il futuro: condizioni di vita precarie, procedure burocratiche per approdare in Europa difficilissime, violenza e insicurezza all’ordine del giorno, separazione familiare e anche paura di essere deportati praticamente ogni giorno. Secondo Iorgos Karagiannis, capomissione Msf in Grecia, «Nonostante affermino di voler migliorare la situazione, l’UE e il governo greco stanno spendendo milioni di euro per standardizzare e intensificare politiche che hanno già causato così tanti danni. Sorprendentemente l’hotspot di Moria sull’isola di Lesbo, che non solo era disfunzionale ma anche mortale, è diventato il modello di progetto per un nuovo centro-prigione a Samos». Per l’esperta di affari umanitari di Msf invece, Reem Mussa, la situazione può ancora volgere per una soluzione accettabile e più umana per tutti: «Non è troppo tardi per la compassione e il buon senso. L’UE e i suoi Stati membri devono porre fine alle politiche di contenimento e garantire che le persone che arrivano in Europa abbiano accesso all’assistenza urgente, facilitare l’accesso alla protezione e la ricollocazione per un’accoglienza sicura e l’integrazione nelle comunità europee», si legge ancora nel reparto dall’hotspot.

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