L’APPELLO DI LETIZIA MORATTI AL CENTROSINISTRA PER BATTERE FONTANA ALLE REGIONALI IN LOMBARDIA

Secondo la candidata per il Terzo Polo Letizia Moratti, alle Elezioni Regionali nella primavera 2023 tutte le forze riformiste e di Centrosinistra devono unirsi per fronteggiare quello che fino a qualche giorno fa era il campo di provenienza dell’ex sindaco di Milano: «Sì, mi candido. Perché ci sono momenti nei quali si deve scegliere da che parte stare. Voglio riportare la Lombardia in Champions League», spiega a “LaRepubblica” la ormai ex vicepresidente di Regione Lombardia, dimessasi la scorsa settimana e sostituita dal Presidente Fontana dal neo-assessore Guido Bertolaso. Parla già di voler “battere le destre” e per farlo propone una alleanza “larga” che prenda dentro riformisti, liberali e socialisti: dal Terzo Polo ai centristi civici fino, perché no, al Partito Democratico.



Spiega senza mezzi termini Letizia Moratti: «La mia candidatura nasce a partire dalla lista civica Lombardia Migliore, naturalmente dal Terzo polo di Calenda e Renzi, ma anche da molte realtà civiche che hanno scelto di far parte del progetto. Mi rivolgo anche al Partito democratico e a tutte le altre forze politiche che vogliono interpretare questa fase nuova di cambiamento. E le rivelo una cosa: in queste ore molti del Pd mi stanno chiamando, e non parlo solo di quelli che immagina più facilmente…». Davanti al “niet” venuto dal segretario Pd lombardo Peluffo, Moratti rivolge un ulteriore appello, «io sono sempre stata un civico. Quando ho accettato responsabilità politiche l’ho sempre fatto mettendomi al servizio delle istituzioni come manager e amministratrice. Agli amici del Pd dico solo questo: è cambiato lo scenario. Non c’è più il centrodestra, c’è una destra-destra al governo del Paese e questo obbliga tutti noi – me stessa in primis ma anche loro – a una ‘revisione’ del nostro posizionamento. Ci vuole un approccio nuovo, più laico, una sintesi innovativa tra riformismo e pragmatismo. Quale posto migliore dove sperimentarlo se non in Lombardia?».



LETIZIA MORATTI: “ECCO PERCHÈ HO LASCIATO IL CENTRODESTRA”

Inevitabile la domanda sulla possibilità concreta che possa essere Carlo Cottarelli il candidato del Pd alle prossime Elezioni Regionali in Lombardia: secondo Letizia Moratti sarebbe una scelta fattibile, ma non si “sbottona” sulla possibilità di un ticket come sognato da Carlo Calenda, «Stimo molto Cottarelli, sono in contatto con lui così come con tanti altri interlocutori. Ma sono scelte che non mi competono, si tratta di decisioni che deve prendere il Pd». Nell’intervista a “Repubblica” però, oltre a presentare alcune proposte da lanciare per la guida della Regione («Un problema sentitissimo è quello delle liste di attesa negli ospedali. Quando sono arrivata in Regione non c’era una mappatura delle liste di attesa, né delle patologie e dei giorni di sforamento. Nulla. E la situazione era tragica. Nel 2019, nei ricoveri chirurgici oncologici, 4 pazienti su 10 non venivano operati: vuol dire che la gente muore, chiaro?»), Letizia Moratti ha voluto spiegare il perché ha lasciato non solo la vicepresidente di Regione ma ha addirittura fatto il “salto della barricata” candidandosi per il Terzo Polo contro il Centrodestra.



«Alla base c’è una riflessione che sto facendo da tempo su un campo politico che è diventato ormai molto più destra che centro. Il centrodestra non c’è più. Lo si è visto anche con i primi provvedimenti del governo. Questa è una destra che, a furia di alzare muri, ci chiude tutti in un recinto. Ma la chiusura è quanto di più lontano dal Dna della Lombardia, una regione aperta al mondo, solidale, attenta all’inclusione», spiega ancora l’ex sindaco di Milano nella lunga intervista a “Rep”, aggiungendo come le nuove regole imposte dal Governo Meloni non appena entrato in pieni poteri non siano da lei condivisi, «Credo che sia un invito a non rispettare le regole, un segnale molto sbagliato. Strizzare l’occhio ai No Vax proprio nella regione che ha pagato il prezzo più alto in termini di morti mi provoca dolore. Penso a tutti quei medici e quei sanitari che, quando ancora non c’era il vaccino, hanno dato l’anima in corsia lavorando 20 ore al giorno».