«Era nel programma con cui son stato eletto Segretario Pd 100 giorni fa. Ora presentiamo il nostro progetto di riforma che, nel rispetto dell’art.67 della Costituzione, punta a fermare la deriva trasformista di un Parlamento che in questa Legislatura ha visto già 200 (!) cambi di casacca»: così scriveva ieri il segretario Dem Enrico Letta annunciando la nuova proposta di legge del Partito Democratico che segue quelle sul bonus 18 anni (tassa di successione), il Ddl Zan, il voto ai 16enni e lo Ius Soli.



Al Nazareno l’ex Premier ha spiegato la linea politica della proposta di modifica del Regolamento della Camera a cui ha lavorato assieme al responsabile Riforme, Andrea Giorgis, con la capogruppo Debora Serracchiani, con Emanuele Fiano e Stefano Ceccanti. «Bisogna bloccare il trasformismo, ma mantenendo in vita il principio dell’assenza di vincolo di mandato», spiega ancora Letta secondo il resoconto fatto da “Repubblica” con Giovanna Casadio. Dal 2018 ad oggi sono ben 259 i “cambi casacca”, 171 alla Camera per 138 deputati, 88 al Senato per 88 senatori: 203 parlamentari in totale hanno deciso di cambiare partito-gruppo rispetto a quello con cui erano stati eletti nelle ultime Elezioni Politiche nel 2018.



COSA PREVEDE LA PROPOSTA DI ENRICO LETTA

La proposta del Partito Democratico verte dunque verso la «valorizzazione» di ogni singolo parlamentare nel suo ‘contratto’ con gli elettori: «ma se abbandona il gruppo corrispondente alla lista in cui è stato eletto, assume lo status di parlamentare non iscritto», tradotto, prende meno soldi. La figura del “deputato non iscritto ad alcun gruppo” infatti non avrà comunque il “portafoglio” che è previsto nel gruppo parlamentare. A livello tecnico, la proposta di Letta presentata ai gruppi parlamentari prevede di «introdurre uno stringente vincolo qualitativo (oltre che quantitativo) alla costituzione di un gruppo parlamentare: il gruppo deve avere una determinata consistenza (15 deputati) e deve corrispondere a liste presentate nell’ultima elezione politica, dalla quale deriva appunto l’elezione dei componenti il relativo gruppo». Si esclude la possibilità che un deputato durante la legislatura passi da un gruppo all’altro, o da un gruppo al gruppo Misto, «prevedendo (anche sull’esempio di altri ordinamenti a partire da quello europeo) – come unica (salve le limitatissime eccezioni) possibilità di modifica dello status di appartenente ad un gruppo che si realizza all’inizio della legislatura – la figura del “deputato non iscritto ad alcun gruppo”», riporta “Repubblica”. Diverse le modifiche “attinenti” e “conseguenti” la modifica del Regolamento alla Camera: modifiche anche per emendamenti, razionalizzazione della questione di fiducia e pure per i quorum delle commissioni parlamentari (da 14 a 10, accorpando alcune deleghe), in modo da conformarsi appieno con l’introduzione della riforma sul taglio dei parlamentari (da 630 deputati diverranno 400). Aperture anche agli alleati del M5s (sempre che rimanga un unico partito, visto il divorzio clamoroso tra Conte e Grillo di questi giorni): «più spazio alle leggi di iniziativa popolare» e «Si costituiscono nuovi gruppi se nel corso della legislatura risultino composti esclusivamente da deputati provenienti da un unico gruppo parlamentare, purché in misura pari ad “almeno un quinto dei componenti di tale gruppo e comunque in numero non inferiore a dieci”».



LE CRITICHE ALLA PROPOSTA PD

Prime critiche in arrivo tanto da destra – Forza Italia – quanto da sinistra – Azione – che mettono a nudo le potenziali incongruenze della proposta di Enrico Letta: «si indigna per i cambi di casacca. Il PD, nel tentativo di fare il ConteTer ha mandato la Sen Rojc con gli Europeisti per attirare altri che uscivano dal CDX, ha accettato i doppi cambi dei Senn Cerno e Comincini», scrive il forzista Lucio Malan, aggiungendo su Twitter «lo stesso Letta ministro per la 1a volta nel 1998 (non eletto) nel governo D’Alema, nato grazie ai cambi di casacca da Rifondazione, da Forza Italia e persino da AN, con un sottosegretario che si dichiarava ex fascista. Che orrore i cambi di casacca, eh?». Tirata d’orecchi arriva anche da Carlo Calenda che sempre su Twitter si permette di rivolgersi al segretario Dem, «Enrico, io ti voglio bene. Ma non sei più a Parigi a insegnare. La politica del più grande partito progressista italiano non può essere tutta incentrata su bandiere simboliche senza alcuna possibilità di realizzazione e sottomissione ai 5S. Dal voto ai sedicenni a questa roba qui. I tempi per mammografie sono raddoppiati, i controlli per visite oncologiche pure. Il livello di istruzione della media degli italiani è tra i peggiori in UE. E via così… Fai una cosa, invece di cercare di dire a tutti costi una cosa di sinistra, dì una cosa comprensibile. Altrimenti davvero sarà difficile collaborare e rimarrai solo con Grillo, Casaleggio e Conte (forse)».