Chiamato al Governo per gestire il Recovery plan e portare l’Italia fuori dalla doppia emergenza, la pandemia e la recessione, Mario Draghi si trova subito a dover affrontare i dilemmi del breve periodo. Un po’ per colpa del Covid-19 che ha fatto irruzione con la terza ondata, un po’ per l’eredità lasciata dal Conte bis, e un po’ per le difficoltà di gestire una maggioranza così diversa, emerse già alla prima prova, cioè distribuire i 32 miliardi di euro a debito stanziati dal Governo precedente. Draghi ha detto subito che non bastano, confermando che con la presentazione del Documento di economia e finanza il prossimo mese ci sarà un nuovo stanziamento. Non si quanto ed è già cominciata la corsa al rialzo, secondo Matteo Salvini serviranno ben 90 miliardi, indiscrezioni giornalistiche parlavano di una cifra ben più modesta, appena 20 miliardi, nelle prossime settimane comincerà il mercanteggiamento per trovare un punto d’equilibrio. Saranno anch’essi nuovi debiti, sia chiaro, del resto Draghi nella conferenza stampa di venerdì sera ha detto che questo è l’anno in cui si danno i soldi, non si chiedono.
Non è il momento di pensare al debito pubblico, ha aggiunto il presidente del Consiglio. E tuttavia la resa dei conti verrà e a quel punto sarà importante capire di che debito ci siamo riempiti, quello buono o quello cattivo, tanto per citare la distinzione dello stesso Draghi. Ciò vuol dire che la trattativa sul prossimo provvedimento di emergenza dovrà riguardare non solo la quantità, ma la qualità. E qui le differenze interne alla maggioranza diventeranno ancor più nette. Non si tratta solo di “bandiere identitarie” (così le ha chiamate Draghi il quale ha parlato di “condividere le diverse esigenze”), ma di interessi concreti, di ceti sociali ai quali si fa riferimento, di elettori. L’essenza stessa della democrazia parlamentare.
Il primo problema, squisitamente politico, è che il presidente del Consiglio deve guidare una maggioranza a geometria variabile, tanto per usare un’espressione in voga a Bruxelles per definire gli assetti che di volta in volta assume l’Unione Europea. Sul condono si sono trovati insieme la Lega e il Movimento 5 Stelle, sullo sblocca cantieri, al contrario, è il Pd più vicino alle posizioni di Matteo Salvini, non fino al punto da voler abolire il codice degli appalti (eventualità scartata dallo stesso Draghi), ma senza dubbio sulla necessità di andare oltre una generica semplificazione guardando come punto di riferimento al modello Genova. Il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini ha messo le mani avanti, Genova non è replicabile, ha detto; in conferenza stampa il capo del governo è stato cauto, ma anche questo è un ostacolo non da poco. Per sbloccare i cantieri occorre prendere decisioni drastiche.
Draghi ha detto che le priorità sono le imprese, il lavoro, la lotta alla povertà. Tutti sono d’accordo formalmente, ma non nella sostanza. Entro aprile dovrebbero arrivare 11 miliardi alle imprese e alle partite Iva, è chiaro che non sono sufficienti. Il meccanismo consente di recuperare al massimo il 5% della perdita annuale. Il prossimo intervento, dunque, dovrà tener conto di questo e aggiustare il tiro. Come e di quanto non lo sappiamo, certo è che questo tipo di sostegno se vuol essere consistente sarà molto costoso. Sul lavoro, il ministro Andrea Orlando ha detto che il blocco dei licenziamenti si articolerà in due rami diversi: dal 1° luglio al 31 ottobre lo stop resterà solo per le piccole imprese che utilizzano le nuove 28 settimane di cassa integrazione Covid. Si era parlato di approccio flessibile e di riformare gli ammortizzatori sociali. Orlando ha spiegato che il reddito di sostegno andrà rivisto ampliando la platea a causa dell’impatto della seconda e terza ondata della pandemia, ma anche per ridurre l’effetto disincentivante che il reddito di cittadinanza ha avuto sulla ricerca dell’impiego. Bisognerà vedere in concreto di che cosa si tratta.
Wait and see anche a proposito delle cartelle da rottamare. Per Draghi è un fallimento dello Stato e occorre intervenire a monte, cambiando il sistema esattoriale e, soprattutto, mettendo mano alla riforma fiscale, la madre di tutte le riforme. In questo passaggio c’è il ponte tra prima e seconda fase, tra breve e medio periodo, tra uscita dall’emergenza e ripresa. Se ne parlerà già con il Def che prepara la legge di bilancio per il 2022 o tutto viene rimandato ancora?
Il Conte bis si era speso in annunci e poi aveva fatto marcia indietro. Draghi non vuole promettere quel che non può mantenere. E sul fisco ha annunciato il “metodo danese” che poi, ha ricordato nel suo discorso al Parlamento, è quello dell’unica riforma organica italiana, quella dei primi anni 70 delineata da due grandi fiscalisti come Cesare Cosciani e Bruno Visentini. Ciò vuol dire che sarà un compito da fine legislatura o forse da lasciare alla prossima. Eppure solo avviando subito il percorso riformatore si potrà non cadere in continuazione nella trappola dei condoni e rispondere in modo strutturale alle legittime esigenze dei contribuenti.
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