Caro direttore,
da piccolo sognavo di diventare centravanti della nazionale. Per un po’ di tempo il mio idolo fu Bruno Nicolè, un modesto giocatore, per di più di una squadra, la Juve, che non era certo la mia preferita. Del resto anche la nazionale era modesta. Nel ’58 non riuscì neanche ad andare ai mondiali. Un po’ come quella di oggi.



Qualche anno fa, di ritorno dalla missione e reduce da una pesante operazione, per cui avevo dovuto reimparare a camminare, una giornalista di una tv privata mi fermò in piazza del Duomo a Milano per chiedermi quale era “la mia posizione preferita”. Naturalmente pensando a Nicolè risposi che era quella di centravanti. Dalle risate degli astanti dovetti capire che non si parlava di calcio.



Anche oggi la nazionale è modesta e per di più ci manca uno come Nicolè. Eppure ancora oggi è difficile, come allora, accettare la realtà, quella di una nazionale modesta, che non è né carne, né pesce.

Anche in altre situazioni, di tutt’altro tipo, è difficile accettare la realtà, a partire da quello che si è. È giusto avere dei sogni, ma non bisogna esserne prigionieri. Non tutti possiamo essere come gli “influencers”, e poi alla fine anche loro non sono quello che sembrano.

Ci sono anche persone tutt’altro che modeste che hanno raggiunto posizioni sociali e lavorative di rilievo, ma non sono contente, non accettano una condizione che altri invidiano e non sanno neanche dire cosa manchi loro.



Recentemente mi è capitato di incontrare un giovane super-professionista che lavora in una prestigiosa capitale europea. Secondo una certa psicologa, per superare il suo disagio esistenziale – che per lei avrebbe origine da una certa “imprecisione” sessuale – lui dovrebbe cambiare sesso. Stando alla psicologa, presto dovrebbe intraprendere un cammino di preparazione alla “transizione”.

Essendo comunque preoccupato per questa scelta, poiché sta vivendo un cammino di fede, ha voluto incontrarmi. Alla fine, dopo avergli detto di stare attento perché questo cambiamento avrebbe potuto lasciarlo coi suoi problemi, e con un “pezzetto” importante per noi uomini in meno, davanti alle sue affermazioni: “In questo momento non mi sento né carne, né pesce” gli ho proposto: “E se proprio questa fosse la tua personale vocazione che Dio ti dà per diventare santo?”.

Pensando alle prossime manifestazioni del cosiddetto Gay Pride mi è venuto da pensare: e se molti di questi giovani accettassero questa loro condizione, non scelta? Loro, per primi, come segno di una non impossibile vocazione? Mah.

P.S.: Sarebbe bene che anche Scamacca accettasse di essere Scamacca e non Pelè. Applicandosi un po’ di più potrebbe diventare almeno Nicolè. Forse è proprio questa la sua vocazione.

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