Caro direttore,
lunedì 25 novembre si sono radunate in piazza Duomo a Parma le “sardine”, sull’onda del successo e della partecipazione che hanno avuto nelle tappe precedenti riempiendo le piazze di Bologna, Modena, Reggio Emilia.
Sono uno studente universitario nato e cresciuto a Parma, quindi pienamente interessato a questo fenomeno, così come alla prossima scadenza elettorale di gennaio 2020.
Ma l’altra sera non ero in piazza con loro. Non mi convincono fino in fondo, mi sembra che manchi qualcosa in questo mobilitarsi contro qualcuno e non per qualcosa.
La sera stessa della manifestazione, guardando gli articoli online e i post sui social che raccontavano questo momento, mi sorgevano spontanee alcune reazioni e domande: dove porta qualcosa nato per dare contro a qualcun altro? Quanto può durare?
Mi pare troppo facile allearsi e “fare gruppo” contro un nemico da combattere, così com’è facile fare gruppo alle macchinette parlando male del proprio prof o del proprio capo: si esaurisce tutto lì. Sono comportamenti quotidiani che viviamo o abbiamo vissuto tutti e mi ci metto dentro anch’io, ma siamo coscienti che quasi sempre il puntare il dito contro qualcuno parte da discorsi nati in situazioni in cui non si aveva niente di meglio da dire.
La partecipazione non può limitarsi a questo. Meno di dieci anni fa, sempre a Parma, avvenne una cosa simile: come l’altra sera c’erano circa 10mila persone e allo stesso modo si respirava aria di rivoluzione tra i partecipanti. Era maggio 2012 e sul palco c’era Beppe Grillo. Bene, cos’è nato da quel comizio (che secondo alcuni rappresentava “una rivoluzione politica e culturale”) in cui si criticava tutto e tutti?
La partecipazione dei cittadini è diminuita e lo si può vedere guardando l’affluenza alle comunali, che è continuata a diminuire (si va dal 74,5% nel 2007, passando per il 64,55% del 2012 con la prima vittoria di Pizzarotti e infine si arriva alle ultime comunali nel 2017 con un’affluenza del 53,65%). Se si osservano quelli che avrebbero dovuto guidare questo cambiamento, si trova un partito che addirittura ha appena chiesto ai propri elettori di potersi prendere una “pausa elettorale” non candidandosi alle prossime regionali.
Non intendo far ricorso all’etimologia delle parole o metterla sul piano filosofico, ma credo che gli esempi citati corrispondano a tutto meno che ad una rivoluzione.
Se ci tengo a dire la mia su questo fatto è sostanzialmente per due motivi: innanzitutto conosco alcuni che hanno partecipato a questo flashmob, con alcuni ho già avuto modo di confrontarmi, e so che in tanti di loro c’è un forte e stimabile desiderio di impegnarsi e dare il proprio tempo per costruire qualcosa per i giovani e per la città.
In secondo luogo, sono però convinto che forse si può trattare questa passione in un modo diverso. Nel week-end precedente la manifestazione ho partecipato a una due giorni di incontri dal titolo “A misura d’uomo, a grandezza naturale” con a tema l’ambiente e i cambiamenti climatici, uno degli argomenti più discussi in questo momento.
L’evento è stato organizzato da un gruppo di ragazzi uniti dalla simpatia per la politica e l’impegno sociale, con l’obiettivo di capire e condividere i problemi legati alla nostra generazione cercando di portare un contributo al bene comune. Il metodo scelto è quello di creare un luogo dove dialogare, studiare e conoscere senza avere posizioni da difendere, ma costruendo a partire da un lavoro fatto attraverso il confronto tra noi e la realtà.
In quei giorni si è affrontato il tema da diverse angolature partendo da dati oggettivi e cercando poi di comprendere le implicazioni e le sfide sul piano sociale, culturale e politico. La cosa più interessante, al di là dei contenuti, è stato il metodo che ha guidato quei giorni: partire chiedendosi quale sia l’origine della problematica che si ha davanti, affrontarla nella sua interezza, per imparare grazie al dialogo con l’altro.
È prima di tutto un problema di metodo e quindi una questione educativa, che favorisce una crescita personale e proposte piene di significati. Bisogna decidere se replicare modelli che non hanno funzionato o se rischiare la fatica di implicarsi davvero, costruendo momenti e spazi come questo appena descritto. Chi vuole fare questa strada insieme a noi è il benvenuto.
Giovanni Santi