Trattare, ma con fermezza, facendo valere le proprie ragioni. È la posizione del governo Conte dopo l’invio della lettera alla Ue per evitare la procedura di infrazione. Le politiche di austerità hanno aggravato la crisi e sono improponibili, dunque è necessaria una revisione delle regole europee; l’Italia non intende sottrarsi ai vincoli, ma propone riforme. Sono queste, in sintesi, le istanze contenute nella difesa italiana. Una linea che Conte ha tentato di rafforzare al tavolo delle trattative per le nuove nomine europee: appoggeremo chi vuole cambiare le regole, ha detto il capo del governo. La risposta della Commissione, tanto per cambiare, è stata negativa: “andiamo a lavorare, in maniera costruttiva, per evitare la procedura. Ma non lo si fa attraverso scambi, commenti sulle regole: lo si fa sul rispetto delle regole che sono intelligenti e favoriscono la crescita” ha dichiarato il commissario agli Affari economici Moscovici.



Adesso la prima mossa del governo sarà l’approvazione, nel consiglio dei ministri di mercoledì prossimo, di un ddl finalizzato all’assestamento delle previsioni di bilancio per certificare che i conti sono meglio del previsto, ha fatto sapere Palazzo Chigi, con il deficit al 2,1% e non al 2,5% come previsto dalla Commissione.



Il governo Conte si è mosso nel modo giusto?

Sì, perché ha denunciato l’austerità. Negli ultimi giorni non era scontato che si sarebbe arrivati a dirlo, evidentemente Salvini e Di Maio hanno fatto sentire il loro peso. Respingere l’approccio europeo e al tempo stesso trattare era la cosa migliore che il governo potesse fare.

Una linea obbligata.

Come sempre, ci vogliono i dettagli e ci vuole una strategia e a me pare che ci siano entrambi: nella lettera c’è l’abbassamento del deficit strutturale e ci sono le misure, la riforma dell’Irpef, il no all’aumento dell’Iva e un programma di revisione della spesa corrente.



Per l’Italia non sarà facile evitare la procedura di infrazione.

La cosa peggiore sarebbe stata dire sì alla Ue rinviando il problema. Invece far valere pubblicamente i propri argomenti va nella direzione giusta: l’Italia deve affermare le sue ragioni anche se gli altri non sono disposti ad accettarle. Qualcuno a Bruxelles sulla Grecia ha già ammesso di essersi sbagliato. Certo non sarà facile. 

Che cosa resta del viaggio di Salvini a Washington?

L’Italia ha bisogno di un sostegno politico forte degli Stati Uniti, perché è isolata in Europa e vuole pesare sui dossier internazionali, come in Libia. Quando c’è stata la firma del memorandum d’intesa con la Cina, Salvini e Giorgetti si sono mossi rapidamente per rassicurare Washington, non potendo rischiare una crisi profonda. All’Italia sono stati chiesti riposizionamenti difficili da digerire, ma il governo non ha alternative.

Di quali riposizionamenti parliamo?

Per esempio verso Iran e Israele. Per l’Italia era difficile allentare i rapporti con Teheran, come lo era, soprattutto alla luce della sua diplomazia passata, adottare verso Israele una posizione alla Trump. L’opzione italiana non avrebbe realisticamente cambiato gli sviluppi e così il governo ha fatto una scelta di campo più esplicita per rinsaldare l’alleanza con gli Usa.

In tutto questo però non mi ha detto se Salvini ha ottenuto il sostegno che cercava.

Verso l’Italia c’è una disposizione positiva, ma in questo momento gli Usa non possono sostenere il governo Conte in opposizione alla Ue. Per gli Stati Uniti vorrebbe dire entrare direttamente nello scontro europeo. E questo, a mio modo di vedere, attualmente non è nelle carte.

Le faccio tre scenari: all’Italia viene riservato il trattamento della Grecia; l’Italia riesce ad incrinare le regole; l’Italia fa saltare l’euro. Cosa sceglie?

È verosimile che nel breve termine si realizzi qualcosa a metà strada tra il primo e il secondo. Il governo spingerà per il cambiamento, ma fino a che non decadrà l’attuale Commissione, è improbabile se non impossibile vederlo realizzato. L’Italia potrà al massimo strappare qualche concessione con qualche alchimia contabile, dopo si vedrà.

Conferma la sua previsione che questo governo resterà in sella fino al 2020?

Sì, perché i due partner di governo non hanno al momento alternative praticabili. Di fronte allo scoglio della trattativa, se il governo Conte va diviso alla manovra di bilancio, alla fine dell’anno può cadere e sarebbe deleterio perché l’Italia si ritroverebbe molto più debole. 

La sua previsione me l’ha detta. Cosa pensa del terzo scenario?

Un piano B dovrebbe essere nella mente di tutti come una possibilità almeno parziale. Occorre riconoscere pubblicamente i rischi di un non cambiamento. Non perché l’Italia sia “contro l’Europa”, ma perché l’austerità, la sola politica economica di cui l’Unione sembra capace, è fallimentare. Torniamo alla seconda opzione: o l’Ue si decide a cambiare nel medio termine, oppure si cambierà in modo precipitoso e drammatico. Ma a quel punto conviene farsi trovare pronti.

(Federico Ferraù)

Leggi anche

FINANZA E POLITICA/ Le conseguenze della "resa" italiana all'UeRETROSCENA/ Così la “piccola troika” made in Italy ha ottenuto la tregua con l'UePROCEDURA UE/ Il rinvio, la vera minaccia di Bruxelles da evitare