Caro direttore,
ci sono fatti di fronte ai quali riesci a capire il perché di avvenimenti e di circostanze apparentemente contrarie a noi.

Nella mia comunità un uomo, un medico, affetto da sclerosi, per anni è stato curato dalla propria compagna, con un’attenzione e un amore unici. Questo fatto ha coinvolto molte persone amiche. Durante il funerale, una celebrazione sobria, un’omelia bella, al momento della benedizione la compagna ha chiesto di poter dire due cose.



Ha iniziato a fare un elenco di ringraziamenti, di amici che in questi anni si sono messi a disposizione per aiutarla a curare il compagno, sempre in carrozzina o allettato. Mi è parso che in quella fila di ringraziamenti venisse fuori un popolo, un gran numero di persone che nel tempo hanno dato il meglio di sé. Non entro nella morale riferita al fine vita, rispetto al quale vorrei stare in punta di piedi per la sua complessità.



In questa circostanza è stato evidente che, prendendo sul serio quello che stava accadendo, questo popolo di amici è riuscito a dare il meglio di sé, il meglio di sé in amore, il meglio di sé in pazienza, il meglio di sé come dono del proprio tempo, il meglio di sé come amicizia. Ognuno di loro potrebbe raccontare cosa in questi anni ha sacrificato, ma anche cosa ha guadagnato, come umanità e come fede.

“Vado a prepararvi un posto”, così diceva il vangelo letto; quanta gente oggi ha la sensazione di non avere un posto nella vita, la sensazione di non essere al suo posto nel mondo. Questo popolo di amici, di una piccola comunità della periferia di Milano ha testimoniato di aver avuto un posto da protagonisti. C’è stata una vera unità tra di loro, un’unità innanzitutto in loro, un’unità generata dalla fede, che è diventata dono di sé, missione.



Mi pare ancora di capire che nelle circostanze dell’esistenza, se prese sul serio, se decidiamo di rischiare in questa avventura della vita, con tutti i timori del caso, bisognosi di conversione, come Pietro, come Filippo (sempre in quel Vangelo), con tutta la nostra umanità, possiamo fare l’esperienza di tirare fuori il meglio di noi, di essere più sposi, più figli, più amici.

Che dono vivere intensamente il reale e scoprire che sotto gli occhi abbiamo già la risposta a tante domande che a volte ci turbano: “Non siate turbati, abbiate fede in me…”.  Vivere intensamente il reale è dono della fede e salva dal turbamento.

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