Lettera aperta al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio
Gentile Ministro,
dopo il giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica Lei andrà ad occupare una delle poltrone più prestigiose in un governo, quella di ministro degli Esteri e capo della diplomazia tricolore. Anche se negli ultimi tempi la politica estera nazionale appare essere stata marginalizzata dal processo di erosione della sovranità nazionale in favore di altri centri decisionali e di potere, Lei deve certamente essere orgoglioso di ricoprire un ruolo che prima di Lei fu occupato da personaggi del calibro di De Gasperi, Moro e Segni, nella Repubblica italiana; e da Cavour, Ricasoli, Visconti Venosta, Depretis, Cairoli, Stanislao Macini e Crispi, nel Regno d’Italia. Personalmente ritengo che la sfida più grande che L’attende sia quella di cogliere con esattezza la criticità del momento storico in cui Lei va a dirigere politicamente quella che oggi è forse la funzione più in sofferenza della statualità italiana.
La politica estera è il principale ministero della sovranità, quello attraverso cui un Paese – forte o debole che sia – si relaziona con gli altri Paesi del mondo – amici o nemici che siano. A seconda di come essa viene impostata, essa può divenire un moltiplicatore della forza ed un strumento di tutela degli interessi nazionali; ma se usata maldestramente o incautamente – o anche solo superficialmente – essa può divenire il cavallo di Troia attraverso cui interessi ostili o semplicemente stranieri prendono il sopravvento su quelli nazionali. I diplomatici italiani hanno certamente doti di qualità e di professionalità eccezionali; con risorse umane ed economiche che sono spesso un decimo di quelli di Paesi a noi simili, riescono a tenere in piedi le relazioni diplomatiche di una delle principali economie del mondo. Non mi aspetto però che Le rappresentino fin dall’inizio con esattezza le sfide nascoste di questo suo nuovo incarico. Sperando di fare cosa utile a Lei ed al Suo staff mi accingo a darLe qualche, non richiesto ma spero gradito, suggerimento.
1. La squadra. Crei una squadra in Suo supporto molto solida, attivando diversi collaboratori di prestigio che la possano affiancare: esperti di geopolitica, strategia, relazioni internazionali, sicurezza, politica estera, ma soprattutto di relazioni economiche internazionali, oggi il vero motore della politica estera. Ma soprattutto, non faccia mancare tra i suoi uomini uno storico. Specialmente in Europa, non c’è nulla di più ripetitivo dei rapporti tra nazioni. Ripensi bene a come e perché nel 1861 nasce il Regno d’Italia, chi ne ha favorito l’unificazione e chi l’ha avversata. Riattivi e dia slancio al Gruppo di Riflessione Strategica presso l’Unità di Analisi e Programmazione, affidandone la guida ad un tecnico esterno e prepari una radicale strategic review della nostra postura internazionale in un mondo ormai troppo diverso da quello in cui ci eravamo comodamente addormentati al termine della guerra fredda.
2. Le risorse. Ponga immediatamente, come priorità del suo mandato, il problema drammatico delle risorse della Farnesina, ormai scese ben al di sotto del livello di guardia. Usi il suo peso politico di leader del primo partito italiano per invertire il trend di decadimento delle risorse per la politica estera, scese ormai al 0,1% del bilancio dello Stato (20 anni fa, in un mondo molto più semplice e meno competitivo, erano il triplo). Se denari aggiuntivi non sono possibili, tari gli obiettivi e le ambizioni proporzionalmente alle risorse esistenti, riducendo il carico di lavoro complessivo sulla macchina. Meno presenzialismo su molti tavoli internazionali e concentrazione degli sforzi su poche e chiare priorità.
3. Orgoglio e prestigio. Il prestigio internazionale dell’Italia è sceso a livelli allarmanti negli ultimi anni, in parallelo alla motivazione di una parte dei diplomatici; ciò è dimostrato anche dai numerosi casi di abbandono della carriera, una situazione unica per quella che una volta era una professione da cui non ci si dimetteva. I giovani sono importanti, ma punti molto sulla fascia media della carriera. Faccia tornare nei diplomatici l’orgoglio di servire la Patria. E ricordi loro che la politica estera non solo rappresenta una nazione all’estero, ma addirittura la crea all’interno.
4. Migrazioni. Mi dispiace ma qui devo autocitarmi. Più di dieci anni fa scrissi in un rapporto sulla politica estera italiana che uno dei temi dominanti delle relazioni internazionali del futuro sarebbero state le questioni migratorie e demografiche la cui gestione doveva essere internazionalizzata. Purtroppo la nostra politica estera, e ancora di più quella europea, ha a lungo sottovalutato il fattore asimmetrico migratorio come il vero elemento rivoluzionario delle relazioni internazionali, fino ad esserne travolta nel 2015. Ancora di più sono stati trascurati i legami tra i flussi migratori e la sicurezza internazionale, oltre che quella interna. Presso la UAP i suoi collaboratori potranno trovare un volume sulla sicurezza migratoria che con un gruppo di ricercatori abbiamo prodotto qualche anno fa e che fornisce un’inedita analisi strategica del fenomeno. Non lasci gli aspetti internazionali della questione migratoria al ministro degli Interni. E neanche speri di poterla risolvere con la collaborazione degli altri Paesi europei che mai ci sarà. Le crisi migratorie si risolvono a migliaia di chilometri di distanza dai nostri confini. Non a Nord delle Alpi, ma a Sud del Mediterraneo. Non a Bruxelles né a Dublino, ma a Tripoli, Tunisi, Khartoum, Cairo, Ankara, Algeri, Kabul, Asmara. Nel Sahel e non a Strasburgo. Si risolvono tornando a fare politica estera. Extraeuropea.
Quando necessario anche condizionando gli aiuti allo sviluppo o usando lo strumento delle sanzioni economiche e finanziarie contro Stati che non collaborano al controllo dei flussi e contro organizzazioni criminali che hanno preso il controllo delle rotte migratorie. Queste di oggi non sono migrazioni ma spostamenti di massa di popoli e sono fenomeni storicamente, giuridicamente e politicamente totalmente diversi ed incommensurabili. Non si faccia trascinare dal partito delle ONG. Già il sistema messo in piedi da Minniti aveva affrontato il problema della loro aggressività ed il loro ruolo di generazione dei flussi. Su questo, al netto delle diverse sensibilità politiche, ci deve essere continuità nel difendere l’Italia dalla violazione della sovranità territoriale da parte di soggetti privati il cui operato, in violazione del diritto internazionale e delle leggi nazionali, non sarebbe accettato da nessun altro Paese europeo. Essere europei vuol dire anche questo.
Un’ultima preghiera su questo punto. Lei sarà anche il Ministro degli italiani all’estero. Risparmi loro, per favore, paragoni tra i nostri emigranti e gli attuali flussi incontrollati di popoli che si muovo dall’Asia centrale, dal Medio Oriente e dall’Africa in direzione Europa. Queste ultime non sono migrazioni ma spostamenti di massa di popoli e sono fenomeni storicamente, giuridicamente e politicamente totalmente diversi ed incommensurabili.
5. Europa. La politica estera di questo governo nasce con una forte vocazione europea, che può tornare utile per rasserenare i rapporti con i nostri vicini. Il vantaggio di avere un clima non apertamente ostile da parte degli altri Paesi europei nei nostri confronti è evidente, e questo è uno degli scopi della diplomazia. Questo però vuol dire che – pur con le buone maniere – spesso bisognerà difendere i nostri interessi nazionali nelle sedi europee proprio dai cugini europei, che hanno dimostrato di avere un concetto di Europa estremamente rattrappito al baltico e al Mare del Nord e geo-politicamente insussistente. Qui la storia dei 2000 anni di civiltà italica va fatta pesare come un macigno, ma purtroppo non basta. Gli interessi nazionali vanno presidiati tanto nel bilaterale che nel multilaterale e ancor di più nel machiavellico sistema di potere europeo, con i suoi livelli di apparente sovranazionalità e di poteri trasversali e lobbistici. Sperare che una convinta fede europeistica e dichiarazioni continue di adesione ai suoi valori siano sufficienti a tutelare i nostri interessi vuol dire aver rinunciato in partenza a generare i ritorni per il nostro Paese dall’appartenenza alla Ue. Anche le storture dell’Europa e i suoi disvalori vanno denunciati standoci dentro, perché ci conviene; a patto però che non rinunciamo a crearne le regole e ad essere anche giustamente determinati quando ne abbiamo interesse e diritto. L’allontanamento di Regno Unito e Turchia dall’Europa crea spazi geopolitici da poter sfruttare.
6. Libia. In Libia l’Italia ha subito uno scacco storico, in buona parte per colpa di altri Paesi alleati europei, Francia in primis. Se esso diverrà o meno il peggiore insuccesso della politica estera italiana dal dopoguerra ad oggi lo si vedrà nei prossimi mesi ed anni, probabilmente durante questa legislatura in cui Lei sarà Ministro. Questo è il banco di prova più difficile che Lei ha davanti. Parlare con entrambe le fazioni è fondamentale ma poi bisogna determinare gli eventi sul terreno e prevenire le mosse ostili ai nostri interessi. Nel lungo periodo i francesi sono un padrone pesante ed anche i cirenaici se ne accorgeranno. Per i libici essere filo-italiani è geo-politicamente l’opzione migliore, se vogliono continuare a essere uno Stato unitario. Sarà difficile convincere la Ue a varare una missione di Csdp in Libia di interposizione tra le parti in conflitto, ma dovremmo cavalcare questa opzione. Dobbiamo però entrare nella logica dello state building che presuppone un ruolo più assertivo, non tanto economicamente (l’unica cosa che non manca alla Libia e che i libici non chiedono sono i soldi) quanto culturalmente e politicamente. Anche per questo motivo è sbagliato minare la residua statualità libica nel loro diritto a presidiare le loro acque territoriali e quelle di loro competenza Search and Rescue. Il sostegno alla guardia costiera libica va proseguito, affiancato però dalla creazione di campi migranti sicuri sotto controllo internazionale (Unhcr/Iom) in zone della Libia lontane dai combattimenti e – soprattutto – lontane dalle spiagge libiche prospicenti Lampedusa. La missione navale Sofia può essere ripresa concentrandosi sulla parte del mandato di contrasto alle organizzazioni criminali e modificando la autolesionistica regola del porto di sbarco obbligatorio in Italia.
7. Sanzioni economiche. L’Italia soffre le sanzioni, specialmente quelle verso la Russia e l’Iran. Ma purtroppo le forme di export control per motivi politici e strategici rappresentano un’altra dimensione di innovazione e trasformazione delle relazioni internazionali che nei prossimi anni crescerà enormemente. La conflittualità futura sarà sempre più una conflittualità economica ed in questo nuovo ambiente così diverso da quello dell’internazionalizzazione delle imprese di pochi anni fa esse vanno protette, assistite e guidate. Le imprese italiane devono rispettare le sanzioni internazionali e conformarsi ad esse, ma occorre vigilare sull’uso improprio delle sanzioni, sul problema dell’extraterritorialità e su quello dell’over-compliance. Questo è un campo dove lo Stato deve fare di più rafforzando la collaborazione pubblico-privato nei Paesi ad alto rischio politico e rischio sanzioni. Mai come oggi fare politica estera è tutelare gli interessi economici delle imprese italiane.
8. Mare e Mediterraneo. L’Italia è un Paese dalla inespressa identità marittima. È necessario investire su una politica estera del mare, sia per arginare i processi di territorializzazione degli spazi marittimi da parte degli Stati che quelli di criminalizzazione e anarchia delle acque internazionali o delle acque territoriali di Stati deboli da parte di attori privati. Ma anche per poter beneficiare della nostra straordinaria posizione marittima, rafforzando gli interessi economici sul mare e le capacità di creare ricchezza e sviluppo attraverso la Blue Economy. Qui è necessario prendere atto che il concetto di Mediterraneo come lo abbiamo inteso in passato si è ormai destrutturato e dobbiamo ragionare su porzioni ben più piccole costruendo – per ciascuna di esse – diverse geometrie di alleanze con i Paesi della sponda Sud. Ripensare il ruolo e la politica italiana in un Mediterraneo a più tratti frantumato è un modo per contare di più in Europa, seguendo la regola che l’Italia conta in Europa se conta nel Mediterraneo.
9. Grandi potenze. L’Italia ha ben poche possibilità di influenzare i rapporti tra le grandi potenze, Usa, Russia e Cina in particolare. I rapporti tra di essi volgono al negativo e questo va tenuto in debito conto quando qualcuno propone di allontanarsi dall’ortodossia atlantica. Gli interessi dei tre convergono, in modi diversi nel Mediterraneo, ed in particolare si scontrano nel Mediterraneo orientale. E questo ci riguarda direttamente. Anche perché non siamo un Paese così piccolo ed insignificante da doverci schierare unilateralmente o con l’uno o con l’altro o oscillare dall’uno all’altro. Non esiste l’alternativa se essere pro Trump o pro Putin, perché entrambi faranno i loro interessi a scapito nostro se non sappiamo gestire il rapporto bilaterale. Abbiamo la necessità di curare i rapporti con ciascuno di essi consapevoli delle esistenti linee rosse. Linee che dobbiamo però avere la capacità di negoziare, tracciare e anche rivedere seguendo i cambiamenti, quanto mai mutevoli, del sistema internazionale. Possibilmente prima che essi avvengano.
Da oggi, Ministro Di Maio, Lei si trova nel difficile compito di prendere in mano la politica estera italiana, che versa forse nel suo momento più difficile, sia per una prolungata crisi interna del sistema Italia che ha affievolito l’efficacia e le ambizioni della nostra azione esterna, sia per l’oggettivamente disastroso contesto internazionale. Quest’ultimo dovrebbe però spingere ad investire verso un ritorno della politica estera intesa come “politica delle politiche” di uno Stato, da svolgere a 360° con una completa visione strategica delle cose. Purtroppo la globalizzazione prima e l’integrazione europea poi hanno spezzettato e funzionalizzato la nostra politica estera facendone un “service” per specifici interessi e non come sede di costruzione/realizzazione dell’interesse nazionale. In questo, la politica estera delle medie potenze è forse la più grande vittima dei processi di erosione della sovranità che si sono registrati negli ultimi due decenni.
E noi, come più media delle medie potenze, ne abbiamo sofferto particolarmente. Avendovi sciaguratamente da parte nostra aggiunto anche strutturali condizioni interne di debolezza, rischiamo ora di andare troppo vicini al punto di non ritorno. Ora è il momento di fare un’inversione di rotta, ed il ritorno di un Ministro politico al dicastero degli Esteri è certamente una novità positiva. Ma il fatto che nei 26 punti del programma delle due forze di governo non vi sia nulla relativo alla politica estera lascia però oggettivamente perplessi, anche perché il nuovo Ministro degli Esteri è il capo del principale dei due partiti di governo.
A Lei, e all’Italia, i migliori auspici di ritrovare il ruolo di motore di un Europa smarrita e rattrappita in un mondo pericoloso e competitivo.
Paolo Quercia, docente di studi strategici, Università di Perugia