Illustrissima presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
le scrivo questa lettera aperta subito dopo aver appreso che quella riferente all’accordo sulla cessione alla tedesca Lufthansa di parte di ITA è stata firmata dal Mef. Lo faccio per diverse ragioni: in primis, per aver lavorato nel settore aereo per oltre 30 anni e poi anche perché, come otaliano, non sono d’accordo sulla questione.
Ma, a quanto pare, pure lei, prima della sua elezione alla carica esecutiva più importante della nostra Repubblica (oltretutto prima donna per cui le faccio i miei complimenti) era decisamente contraria, in modo anche incisivo e con argomenti concreti, a che una nazione che costituisce il terzo mercato mondiale del traffico aereo (frase estrapolata anche da una dichiarazione di Lufthansa), la terza potenza economica Ue e la quinta turistica a livello mondiale “regali” la gestione di un settore così importante a un altro Paese… ma non solo: perché i cari cugini tedeschi pretendono anche una legislazione ad hoc che (come hanno fatto non solo loro ma altri Paesi europei) regoli una volta per tutte il mercato aereo nazionale soprattutto dall’indecente fenomeno del co-marketing low cost che ormai da più di vent’anni lo ha investito e alla fine ne ha provocato un monopolio con prezzi altamente al di fuori dalla media europea.
La decisione e firma appena apposta risulta essere frutto di un suo alleato di Governo, il Ministro Giorgetti della Lega, che ha più volte affermato come questa “Santa Alleanza” sia l’unica possibile in grado di risolvere la situazione anche perché l’acquirente ha esperienza nel settore. So benissimo che il contratto prevede una cessione solo parziale, inizialmente, ma è anche chiaro, se non urlato ai quattro venti, che Lufthansa pretende il controllo intero della compagnia il più presto possibile.
Non sono assolutamente d’accordo con tutto ciò e meraviglia a tutti questo Suo cambio radicale di strategia in questo importante settore, anche perché ci sono elementi che dimostrano l’esatto contrario di questa visione. In primis, il fatto (ahimè non quotidiano) che gli ultimi bilanci attivi della “gloriosa” Alitalia si siano registrati quanto era guidata da un AD (Domenico Cempella) con trent’anni di anzianità in Alitalia e da un Presidente (Fausto Cereti) nientepopodimeno che (direbbe il grande Mario Riva) ingegnere aeronautico.
E poi è a conoscenza di tutti che durante il Governo del suo predecessore Conte (il secondo) esistesse un piano di salvataggio di Alitalia che non solo era stato elaborato da due grandi esperti del settore (i Professori Ugo Arrigo e Gaetano Intrieri), ma che, attraverso un investimento di circa un quarto dei soldi letteralmente buttati per la creazione di ITA, ci avrebbe consegnato un vettore globale con una flotta di circa 300 velivoli (e anche una benedizione del piano da parte dell’Ue). Ma il tutto venne bloccato per il semplice motivo che già tre anni fa si sapeva benissimo che Alitalia (o chi per lei) sarebbe finita in Lufthansa.
Si creò quindi una compagnia aerea (sic) ex novo dove si sono ripetuti gli stessissimi errori che, dal lontano 2001, hanno contraddistinto non solo i due fallimenti (privati ma pagati dallo Stato) di Alitalia, ma pure una serie di gestioni operate da personaggi politicamente molto legati ai poteri di turno, ma senza esperienza nel settore aereo, che hanno preso decisioni sciagurate, ingoiato miliardi e creato la “leggenda metropolitana” che il nostro Paese non disponga di esperti nel campo aeronautico commerciale.
Le loro operazioni hanno creato dei danni incalcolabili al Paese: non solo per le conseguenze delle loro gestioni, spesso retribuite con “premi” per i loro fallimenti, ma anche e soprattutto per aver dato un colpo mortale al tesoro più grande che aveva la vecchia Alitalia. Il know-how impareggiabile dei suoi dipendenti, sacrificati in nome di uno scellerato abbassamento del costo del lavoro che, Le ricordo, fin dal 2006 (dati AEA) era il più basso tra i principali vettori europei (16% dei guadagni contro una media di 23), contro un 94% di spese per l’organizzazione della compagnia contro un 63%, fatto che faceva capire chiaramente le allegre gestioni non solo passate, ma anche attuali.
Basti citare, tra gli altri esempi, i tagli operati che hanno fatto sparire due settori di vitale importanza per ogni compagnia aere : la manutenzione (elogiata guarda caso proprio dai tedeschi all’epoca) e il settore merci, due campi che, negli altri vettori, costituiscono fonti di guadagno estremamente importanti.
Siamo arrivati al punto che migliaia di ex lavoratori Alitalia, dotati di esperienza, vengono messi in Cassa integrazione attraverso un sistema che si sta rivelando assurdo, non solo perché ha generato una piccola compagnia al servizio di un Paese con le caratteristiche sopra citate, ma sopratutto perché, dalle richieste di Giudici interpellati per una causa fatta dai lavoratori, si sia richiesta la comparsa del contratto di cessione di Alitalia SAI a ITA, ambedue controllate dallo Stato ma non solo: a detta di molti esperti in piena continuità al contrario di quanto dichiarato fino a non molto tempo fa. E qui emerge un’altra questione metafisica di tutta questa recente storia: la presenza di documenti secretati quando invece ci dovrebbe essere la massima chiarezza, visti anche i risultati ottenuti finora, non proprio brillanti. Viene il sospetto che tutta questa vicenda subisca un’influenza colossale da parte di un’Ue che, in tutti questi anni, ha chiuso non solo gli occhi ma anche la bocca su manovre operate da consorelle a mai ostacolate.
Ecco, Gentile Presidente: quello che vorremmo noi tutti che condividiamo con Lei e tanti altri l’amore per il nostro Paese e il futuro dello stesso, non solo economico, è che l’Italia, come le altre nazioni, possa mantenere il controllo non solo di settori importanti per l’economia, ma, attraverso le risorse di cui abbiamo sempre disposto, svilupparli positivamente nel pieno rispetto delle regole. Si può fare e gli esempi ci sono, proprio nell’aviazione commerciale: si pensi alla portoghese TAP, che versava nelle stesse condizioni di Alitalia e nel giro di pochi anni, con politiche oculate, ha potuto tornare a macinare utili e a porsi al servizio del Paese di appartenenza.
Questo mio scritto è un appello, ampiamente condiviso, affinché Lei ci dica se quanto descritto in questa lettera aperta sia realizzabile in nome di un’Italia che sembra aver perso, al contrario di altri Paesi, la propri sovranità non solo in campo economico.
In attesa di una Sua eventuale risposta, La ringrazio (ringraziamo) per l’eventuale lettura di questo accorato appello, augurandole buon lavoro.
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