Le carceri italiane, un piccolo Mediterraneo dimenticato, sono state ridotte a un grande ammasso di rifiuti umani indifferenziati. Dividiamo con cura, a tratti maniacale, la carta e il cartone dalla plastica e dal vetro, il secco dall’umido, le ramaglie e i residui degli sfalci dei giardini, tutto questo per cercare di recuperare il massimo dai rifiuti, rigenerarli per riutilizzarli e abbattere il più possibile l’inquinamento, i costi economici, sociali ed ambientali. E l’uomo? Domenica 20 agosto tre realtà che operano nelle carceri italiane si sono fatte promotrici di una lettera-appello a tutta la nostra società, al ministro della Giustizia ma in particolare a Papa Francesco e al presidente Mattarella.
Come Cooperativa sociale Giotto, che da trentatré anni opera nel mondo delle carceri, non abbiamo esitato ad aderire. Mi è venuto alla mente un’altra lettera-appello che avevamo sostenuto e promosso nel 2005 a firma di dieci detenuti della Casa di reclusione di Padova. Allora era rivolta a Papa Benedetto XVI e a Carlo Azeglio Ciampi. Sono passati 18 anni, sono cambiati due presidenti della Repubblica e un Papa, ma niente di nuovo sotto il sole. Mi viene poi alla mente una bellissima conversazione che don Bosco nel 1854 ebbe con l’allora ministro della Giustizia Urbano Rattazzi. Nel 1854 i problemi erano gli stessi di oggi. Il problema della recidiva, i costi elevati che nelle strutture pubbliche superavano di ben tre volte quelli delle strutture che applicavano il “metodo don Bosco” o di tutta quella miriade di santi e beati sociali che la Torino dell’Ottocento e dei primi del Novecento donò al mondo intero: san Domenico Savio, san Giuseppe Cafasso, san Giuseppe Cottolengo, i santi Giulia e Carlo marchesi di Barolo, san Leonardo Murialdo, beato Pier Giorgio Frassati.
Il ministro Rattazzi, dopo aver ascoltato e visto i frutti dell’opera di don Bosco nei confronti delle persone carcerate, pur capendo che sostenere il metodo educativo di don Bosco lo rendeva impopolare (non paga quasi mai politicamente fare bene il bene) cerca in tutti i modi di aiutare queste realtà sociali, uniche in grado di dare una risposta vera, dignitosa e civile. Non a caso il ministro per le persone che gli interessano e a cui vuole bene cerca una soluzione “alternativa” al carcere tout court. Sembra che 169 anni siano passati invano, che non solo non ci abbiano insegnato niente ma che addirittura ci stiano sempre di più imbarbarendo.
Chissà che cosa direbbero oggi personaggi come Dostoevskij, Voltaire, Beccaria, Mandela; andate a vedere che cosa dicevano allora delle carceri e della società. Il tempo che passa sembra renderci sempre più in-civili. Tutto direbbe chiaramente verso dove occorrerebbe andare, quali soluzioni prendere. Ci vengono in aiuto anche la scienza, la statistica e l’economia a spiegarci che l’approccio che la politica italiana, ma siamo nel mondo in buona compagnia, ci sta portando negli ultimi trent’anni verso disastri sociali ed economici. Andate a vedere la situazione delle carceri nel mondo, che cosa la repressione, la punizione fino alla pena di morte hanno generato. Ma allora, se è tutto così chiaro e conveniente per la nostra società civile, perché dopo 169 anni non si riesce a fare bene del bene?
La politica questo dovrebbe fare, perseguire il vero bene dei suoi cittadini a costo di risultare impopolare. Mi fermo perché quando le cose sono semplici e chiare non servono tante parole, servono persone umanamente e professionalmente di grande spessore, che equivale a dire semplici di cuore, “disinteressate”. Servono persone che sappiano veramente amare, veramente accogliere, veramente ascoltare, veramente guardare e veramente chiedere. Concludo con una frase di don Bosco che abbiamo scritto in una parete del carcere di Padova: “Se questi ragazzi avessero trovato qualche amico che si fosse preso amorevolmente cura di loro, non sarebbero finiti in questi luoghi”.
Al presidente Mattarella chiedo di non tirarsi indietro, di non fare troppi calcoli, perché l’articolo 27 della Costituzione è ormai quasi del tutto calpestato. Questo è il momento di metterci la faccia e di non tirarla indietro, come ben ha saputo fare in altre occasioni, ne va della dignità di ciascuno di noi e di tutta la nostra società. Invito tutti i lettori del Sussidiario, tanto come singole persone che come enti pubblici e privati, associazioni e aziende profit e no profit ad aderire a questo appello.
La lettera-appello
È da anni che noi portiamo avanti la battaglia perché alle persone detenute sia data la possibilità di curare gli affetti e rafforzare le relazioni. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo a leggere che il ministro Nordio si era reso conto dell’importanza di dare una svolta a tutta la negatività che sta travolgendo le carceri puntando proprio in particolare sull’aumento delle telefonate. Ma poi siamo ripiombati nella dura realtà di proposte inconsistenti, perché crediamo che tutti quelli che come noi entrano tutti i giorni in carcere tale reputino la proposta di aumentare da quattro a sei le telefonate mensili. Ma cosa cambierebbe con due miserabili telefonate in più al mese di 10 minuti l’una in quelle vite di solitudine isolamento lontananza dalle famiglie?
Da quando è scoppiato il Covid abbiamo continuato a dire che quelle telefonate in più (concesse dopo le rivolte con cadenza quotidiana o quasi) che avevano salvato il sistema dal disastro, non potevano più essere tolte, anzi andavano potenziate. E invece è successo quello che non doveva succedere: fermata l’epidemia si è deciso di fermare anche molte delle telefonate in più, salvo in quelle carceri dove la forza del volontariato e del Terzo settore, delle persone detenute e dei loro familiari ha trovato una risposta saggia delle direzioni e il buon uso delle loro prerogative per mantenere le telefonate. Sappiamo benissimo che sarebbe importante la modifica della legge, però sappiamo anche che molto si può fare già da ora, e soprattutto che non bisogna mollare la presa, tanto più in un periodo in cui in carcere si manifesta sempre più alto il disagio con suicidi e atti di autolesionismo, uniti alla desertificazione delle estati negli istituti di pena.
A chi risponde che “hanno sbagliato e devono pagare” non si ricorda mai abbastanza che secondo la nostra Costituzione le pene devono tendere alla rieducazione e non si rieduca rispondendo al male con altrettanto male. I nostri governanti sembrano ignorare che la pena detentiva consiste nella privazione della libertà e non in altre “torture” che possono spingere anche al suicidio, come la mortificazione degli affetti.
Perché qui si fa del male anche ai familiari, che non hanno nessuna responsabilità, anzi hanno bisogno di essere incoraggiati e aiutati. E ricordiamoci che ci sono paesi in cui le famiglie indigenti vengono sostenute dalle istituzioni. Le telefonate le persone detenute in Italia se le pagano: qualcuno non venga a dirci che non si possono creare differenze tra chi può pagarne di più e chi non può, si tratta piuttosto di aiutare e sostenere chi non ha possibilità, tanto più che se queste persone avessero come prescrive la legge un lavoro, questo problema non esisterebbe.
Sono anni che Ristretti Orizzonti e la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia portano avanti importanti battaglie in particolare sul tema degli affetti (che significa anche colloqui, colloqui intimi, massimo ampliamento dei colloqui con terze persone…). In quest’ultimo anno si è aggiunta poi l’Associazione Sbarre di zucchero, nata in seguito al suicidio di una giovane donna detenuta, Donatela Xodo, una realtà che ha portato in queste battaglie passione, intelligenza e capacità di comunicazione. Insieme chiediamo al Ministro della Giustizia un gesto di cambiamento vero. Chiediamo di sostenere questa nostra richiesta al presidente Mattarella e a Papa Francesco.
Ristretti Orizzonti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Associazione Sbarre di Zucchero, Coop Giotto Padova, Camera penale Padova, Commissione Carcere Attilio Favaro, Ludovica Tassi, Lucio Di Giannantonio, Franca Marcolin (Associazione OCV Padova) Associazione Granello di Senape Venezia, Adolfo Ceretti, Rossella Favero, AltraCittà Padova, Volontari Biblioteche Carcere Padova (AltraCittà e Granello di Senape) Cooperativa AltraCittà Padova, Marco Boato.
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