Caro direttore,

ho l’impressione – a torto o a ragione – che ci sia qualche preoccupazione nel mondo cattolico per l’apparente divisione che ci sarebbe tra quanti condividono il documento della Cei, che esprime disappunto per il permanere del divieto sulle celebrazioni liturgiche, e quanti, invece, sarebbero orientati più alla prudenza. Tra questi pare esserci anche Papa Francesco, che non manca di esortare a essere rispettosi delle indicazioni della pubblica autorità.



Francamente io credo che le due posizioni siano asimmetricamente complementari e, come tali, non siano in realtà contraddittorie, perché si muovono su due piani diversi.

Come cristiani dobbiamo essere ben consapevoli di non essere “graditi” in quanto tali al Potere politico, che come la storia dimostra, ci ha quasi sempre apprezzato solo quando riusciva a usarci strumentalmente; anche chi oggi ci governa, salvo alcune eccezioni, apprezza dei cristiani solo le iniziative caritative e assistenziali da loro promosse, perché li sgravano di molti problemi, ma loro no, perché i cristiani “non sono del mondo” e poi, via, sono fissati su richieste politically incorrect (no aborto, no eutanasia, no matrimoni omosessuali, no utero in affitto e via dicendo).



Bene ha fatto perciò la Cei a esprimere il suo “disaccordo” nei confronti del Governo, che ha voluto interferire con un compito proprio della Chiesa (“organizzare la vita della comunità cristiana”), invece che limitarsi a dare “indicazioni precise di carattere sanitario”, perché fossero rispettate da tutti, cristiani e non cristiani. Del resto è un principio ben chiaro nella Costituzione della Repubblica che, nel famoso articolo 7 (approvato a suo tempo anche dal Pci stalinista, ma tradito ora dai suoi eredi “democratici”) recita espressamente: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.



Principio fondamentale per il cristianesimo (ma anche per ogni autentica democrazia) è la distinzione del potere politico da quello religioso: “A Dio quel che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare”. Il contesto in cui Gesù pronuncia questa frase è il famoso episodio del “tributo” (“è lecito pagare il tributo ai Romani invasori?”). La risposta di Gesù è ben nota: Egli attribuisce a Cesare il potere sulle cose temporali, perché sulla moneta è impressa l’immagine dell’Imperatore; ma sul volto dell’uomo è riconoscibile l’immagine di Dio, di cui è fatto “ad immagine e somiglianza”, perciò il potere politico deve stare ben attento a non interferire con la gestione degli affari religiosi.

Credo che la Cei abbia voluto mettere le mani avanti, per evitare che ci si avvii su un piano inclinato che ci porterebbe a fare la fine della famosa “rana bollita” di Noam Chomsky: è ora di dire a voce alta, come ha fatto qualche giorno fa il Papa stesso, che la celebrazione liturgica è sempre con il popolo e non è un evento virtuale, al quale i cristiani possano assuefarsi a poco a poco.

Chiarito questo, occorre che l’autorità acceleri l’inizio della fase 2 anche per le celebrazioni liturgiche: qualche settimana in più di astinenza dalla comunione sacramentale si può accettare, ma si deve cominciare a capire che anche la pratica religiosa ha le sue legittime esigenze e che il potere politico le deve rispettare e tutelare. Per il bene comune, non per fare un piacere ai cattolici.

Anche questa volta, però, il “fatto accaduto” è per il cristiano occasione di riflessione.  Proprio in questi giorni ho avuto modo di leggere la lettera della badessa del Convento delle suore trappiste di Praga a un mio amico. A lui che lamentava la situazione italiana, Suor Lucia pone due ordini di domande: “chiediti  – suggerisce – se ti manca davvero da morire l’Eucaristia, se ti manca ricevere nella loro concretezza il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Cristo”; la seconda domanda è consequenziale: “Ti mancano il Corpo di Cristo che è la Chiesa, la comunità cristiana, la fisicità del sacerdote sull’altare, i fedeli cristiani attorno a te nella Chiesa e nella vita?”. La conclusione di Suor Lucia è lapidaria: “Se questo non ti manca, vuol dire che sei entrato in una realtà virtuale”.

Così sono i cristiani veri: profondamente diversi da chi è legato a vacui sentimentalismi o alla realtà virtuale dei videogiochi. Essi credono che Gesù è morto e risorto realmente in carne e ossa e sono proprio convinti che Egli non sia un fantasma visto da visionari buontemponi.