Quella mattina degli anni 80 ero andato a scuola, all’Istituto Molinari di Milano, abbastanza tranquillo. Quando al termine delle mie ore di lezione stavo per tornare a casa, uno studente che aveva un’ora buca mi chiese di confessarlo. Al Molinari poteva capitare anche questo. Mentre nel sotterraneo, dove c’erano le “aulette”, stavo ascoltando la “pecorella smarrita” fummo destati da una esplosione. In un istituto per chimici, si sa, qualche incidente può sempre accadere. Questa volta però era la mia macchina, una favolosa 126 blu, fatta in Brasile, che andava in fumo. Non per autocombustione, ma per una bomba chimica messa da qualcuno che la chimica l’aveva studiata sul serio.
Dalla vicepresidenza (allora non c’erano i telefonini) feci subito due telefonate, la seconda a mia mamma, vecchia combattente partigiana: “Ciao mamma, sto bene. Non ti preoccupare per quello che sentirai…”. La prima era diretta al professore José B.B., esponente del partito socialista rivoluzionario del Perù, che dopo il colpo di Stato di Pinochet in Cile e quello successivo dei militari in Perù aveva dovuto abbandonare precipitosamente il Paese. Viveva in casa mia, al centro giovanile di Crescenzago, già da qualche mese. Alcuni amici del sindacato mi avevano pregato di ospitarlo, con molta circospezione, dopo che un suo compagno di partito, fuggito anche lui in Italia, era stato assassinato dalla polizia segreta della giunta militare peruviana. Fascisti veri, non come quei pirla di oggi che si vantano di poter andare in giro a gridare “Viva il Duce”.
Arrivarono i pompieri, visto che i tecnici di laboratorio della scuola con i loro estintori non ce la facevano a spegnere l’incendio. Anzi, una seconda detonazione fece finire il bagagliaio della macchina sul tetto del Molinari.
Poi i carabinieri con tutte le loro domande. Poi la Polizia di Stato con le stesse domande (ma non dovevano collaborare?). Dopo un paio d’ore in un corridoio dell’istituto venne trovato un comunicato firmato dalle Formazioni comuniste combattenti, dove venivo definito “mentecatto e servo della borghesia”. Mentecatto per la verità ho sempre pensato di esserlo, quanto a servo della borghesia valga il commento di alcuni primini: “Scusi prof, ma la sua macchina non è la più scarsa tra quelle degli insegnanti?”.
Al comunicato tutti cominciarono a preoccuparsi. Un po’ anch’io, anche se dopo che fu chiaro che erano stati “quelli di sinistra” e non i fascisti fui felice di correre a rassicurare José.
All’assemblea generale, subito convocata, una mia collega del Pci espresse a nome di tutti la solidarietà democratica, non senza aver dimenticato di dire che forse l’attentato era stato fatto contro di me, perché rappresentavo l’“ala sinistra di CL”. Mah; non ho mai saputo questa cosa e poi di sinistro non so neppure calciare.
Il fatto è che da tempo, insieme ad altri studenti delle scuole vicine, avevamo incominciato a pubblicare una rivistina satirica, di vignette, che si permetteva di sfottere, dal punto di vista cattolico, la sinistra extraparlamentare. In particolare colpì tutti una vignetta che raffigurava il muro di Berlino e, sotto di esso, tanti che scavavano tunnel per fuggire all’Ovest.
Solo due persone, un professore e uno studente di Avanguardia Operaia, scavavano un tunnel nell’altro senso e lo studente chiedeva al prof: “Scusa compagno, ma sei sicuro che stiamo andando dalla parte giusta?”.
In questi giorni ho saputo che un esponente di primo piano delle Formazioni comuniste combattenti, Raffaele Ventura, potrà tornare libero in Italia dalla Francia dove ora si trova, perché la pena è estinta. Benvenuto compagno! Ma sei sicuro che stai andando dalla parte giusta?
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