Egregio direttore,

essendo il responsabile di una piccola azienda impiantistica che lavora perlopiù con la Pubblica amministrazione, ho letto con interesse l’articolo in cui si chiedeva la sospensione del codice degli appalti. Immediatamente mi ha ricordato la forte campagna sul tema impostata dall’allora ministro Salvini che, dopo una serie di roboanti proclami, si risolse nella modesta correzione (l’ennesima) di qualche articolo del codice.



Certamente il codice degli appalti è un insieme di norme che vorrebbero essere riassuntive, ma di fatto, specie dopo l’intervento del governo Renzi che con il Dlgs 50/2016 sostituì un po’ improvvidamente nel volgere di pochi giorni tutto il precedente impianto legislativo, è attualmente una struttura non propriamente snella e di immediata applicazione. Al primo intervento legislativo seguirono poi una serie di rettifiche che ciascun Governo ritenne fare, spesso smentendo quanto legiferato pochi mesi prima, con l’esito che a oggi, dopo quasi quattro anni, non è stato mai emanato un regolamento attuativo, essendo in vigore ancora parte del precedente datato 2010, emendato “qua e là” da vari decreti ministeriali nonché linee guida di Anac, la cui effettiva cogenza è stata più volte oggetto di interventi della magistratura amministrativa.



Quindi una situazione non certamente chiara, cui collabora l’apparato della Pubblica amministrazione talvolta più preoccupato di proteggersi legalmente che non di favorire l’attività dei cantieri. Ma anche ancora ancorato a consuetudini e procedure mai aggiornate; giusto dell’altro giorno l’ennesima richiesta di atti assolutamente inutili e formali abrogati da ormai diversi anni, ma che l’amministrazione procedente non si è mai preoccupata di verificare e aggiornare.

Tutto da buttare quindi? Non proprio perché comunque, pur con tutti i limiti descritti sopra, la mia esperienza dice di un sistema che in qualche maniera garantisce l’accesso ai lavori sia alle imprese di grandi dimensioni che a quelle più piccole, ciascuna secondo le proprie potenzialità, con un comportamento tendenzialmente equanime, come certamente nel settore privato dell’edilizia non si rileva; infatti, il trattamento riservato ai subappaltori (normalmente le aziende artigiane e i più piccoli) nei cantieri privati è spesso dettato da sfruttamento, mancati pagamenti, condizioni economiche insostenibili, proprio perché non viene di fatto posto alcun argine al potere contrattuale delle grosse imprese.



Ora mi sembra che di fronte alla gravissima crisi che si prospetta nei prossimi mesi e dove probabilmente sarà fondamentale il contributo delle opere pubbliche all’economia nazionale garantire accesso ai lavori, con condizioni economiche dignitose e certezza dei pagamenti per tutti, sia un interesse prioritario sia per gli operatori del settore che per il buon esisto delle opere commissionate.

Peraltro appare curioso come spesso coloro che in questi giorni, anche giustamente, criticano il comportamento dell’Ue, rilevando come la gravità della nostra situazione debba essere valutata con specifici criteri, siano gli stessi che sistematicamente promuovano ricorsi in sede europea contro alcune peculiarità della nostra disciplina degli appalti (come limiti ai subappalti o procedure specifiche di selezione di concorrenti) che invece dovrebbero a loro dire uniformarsi a un’astratta concezione “europea” della libera concorrenza.

Concludo con un’osservazione; il mio ufficio è prospiciente a un’ansa del fiume Lambro che ormai da tempo, causa chiusura delle aziende, è deserta, per cui la colonia di anatre presente da anni è sempre più libera di muoversi. Nell’ultime settimane un gruppo di piccioni si sta addentrando nel territorio, ma le anatre hanno instaurato una “battaglia” per allontanarli e probabilmente ci riusciranno, come fecero lo scorso anno con i gabbiani; le anatre sono simpatiche, pulite e se ne stanno in acqua e quindi siamo tutti contenti che allontanino i piccioni, notoriamente fastidiosi e sporchi. Ma eliminati i piccioni, quale sarà il prossimo obbiettivo delle anatre per non cedere il terreno?

Non vorrei che in nome di un’immediata necessità e snellezza di procedure si sacrificasse un apparato di tante piccole attività che pur sempre restano un aspetto fondamentale e peculiare della nostra economia.

Cordiali saluti