Ventisei anni fa è uscito dalla droga grazie alla comunità “L’Imprevisto” di Pesaro. Oggi fa il contadino e ha quattro figli. Il coronavirus mi ha isolato, dice Gabriele Balestra
Caro direttore,
la mia vita sociale è fatta di poche cose. Ma ora mi mancano… e mi rendo conto che in questa vita – e in questo particolare contesto che qualcuno studierà nei libri di storia – darle per scontate era ed è un grosso errore. E si rischia di perdere per strada dei pezzi, dei particolari che non sono aria fritta. Vedere i figli che accettano e stanno alle regole più dei tuoi 51 anni e della tua voglia di andare in bici. Capire che quando il tuo vecchio padre creperà cambierà la musica nel campo. E ti rendi conto che in questi giorni quasi lo cerchi, e capisci che a parte l’aiuto che ti ha dato non è quello il punto. Il punto è che nelle nostre guerre ci siamo fatti compagnia, nella nostra solitudine, nei nostri poveri caratteri, coi nostri problemi e quelli delle piante, della grandine, delle tempeste, della siccità e delle due lire al chilo. Ma siamo ancora qui, a cercare di trovare qualcosa da fare per non morire di questo virus. E chiedi ai tuoi figli di venire a passeggiare con te, e anche se ti hanno sempre detto di no sei contento di averglielo chiesto. E sentire nell’irreale silenzio qualcosa che dentro di te sembra ripartire. E aspettare che la vita ti perdoni e andarla ancora a cercare, ad accarezzare. E questa luna che mi guarda piano tra i rami di una pianta del giardino. E la brezza che muove appena la tenda del terrazzo… ed io qui col mio mal di schiena e con tutto ciò che ho dentro. E i miei amici lontano, che sanno di me e del mio tormento? Quanto vorrei bere una birra con loro e fumare una paglia. E ringraziarli e dirgli che gli voglio bene.
Gabriele Balestra