Caro direttore,
se in un condominio di una ricca, ma un po’ più provinciale città del Nord Italia, dopo trenta giorni di contenimento del coronavirus e durante il weekend di Pasqua, tre famiglie su sei decidono che un mese basta per sentirsi sicuri nel palazzetto dove nessuno pare contagiato, e si può scendere nel giardino condominiale e lasciare che i bimbi – da 1 a 6 anni – ora giochino insieme abbracciandosi e baciandosi, mentre i genitori si raggruppano per conversare in compagnia e allegria (giardino di circa 60 metri quadrati); se questo succede in un giardino sotto lo sguardo incredulo delle altre famiglie tra cui due sono a rischio per età avanzata e per difficoltà immunitarie, non solo non si può comprendere come di fronte al decreto ancora in vigore, che richiede distanza e turni per l’uscita all’aria aperta, si infranga la legge e si metta a rischio la propria stessa salute, e certamente quella dei più vulnerabili, e che dopo una richiesta di rispettare l’ordinanza si riceva una risposta di indifferenza. Non si può nemmeno non pensare che nei vari condomini, cortili, piazzette e spazi vari in tutta Italia che non stia capitando la stessa cosa. Quanti? Centinaia, migliaia?



I giornali il giorno dopo Pasquetta già suonano l’allarme, e chi è più adirato usa la parola “imbecilli” nel titolo stesso della sua protesta contro chi non ha capito che il paese non è ancora pronto. Ma quale paese? Uno in cui le contraddizioni e i conflitti che partono da Roma arrivano ai vari sindaci e presidenti di Regione come raffiche di mitragliatrici? Come mettere d’accordo i condomini quando i governi fra di loro non capiscono il filo che lega il problema dell’informazione, la comunicazione e l’organizzazione? Ed ecco che il verde del condominio diventa emblematico dell’incapacità di ascoltarsi e pianificare insieme le soluzioni: semplici nel giardino, come, per esempio, solo stabilire dei turni. Se rispetto e considerazione vengono rifiutati in questo gruppuscolo di cittadini che vogliono fare a modo loro, scacciando chi non ci sta, scordando la collaborazione predicata senza tregua in questi tempi di coronavirus, allora quale speranza si può avere per un intero paese come il nostro?



Si finisce per vivere con due terrori, quello della potenza del virus e quello dell’impotenza e del tarlo della mancanza di attenzione e collaborazione, per il narcisismo che regna. E questo sarebbe un paese cristiano: questo mi sono domandata. Mi dica lei, signor direttore?

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