Caro direttore,
non so cosa abbia deciso il Cts. Non so se si sia tenuto un nuovo Consiglio dei ministri. Vado alla cieca, perché scrivo mentre ancora tutto è in divenire. E per una volta, dopo un anno di grafici e cifre, mi permetto di utilizzare questo spazio per parlarvi un po’ di me. Brevemente, tranquilli. Ma sono certo che, man mano, capirete il perché.
Partiamo dal dato sostanziale, quantomeno in tempi di apartheid: non sono vaccinato. Nemmeno una dose. E non perché sia no vax, anzi. Ho ricevuto tutte le immunizzazioni da bambino e se avessi dei figli, farei lo stesso con loro. Fidandomi ciecamente. Chi mi segue sa che quattro anni fa, proprio in questo periodo, ho avuto seri problemi di salute. Diciamola tutta, mi hanno preso per i capelli. Una cisti pancreatica – rivelatasi grazie al Cielo benigna, dopo due giorni di attesa di una biopsia che non auguro nemmeno al mio peggior nemico – mi ha lasciato in dote un diabete secondario con annessa insulino-dipendenza, un infarto e due stent in una coronaria.
Detto questo, sono vivo. E non accetto che lo Stato decida se io possa restarlo o meno, tantomeno per decreto e senza nemmeno la decenza di un dibattito in Aula. Perché nessun medico da me interpellato ha escluso totalmente rischi connessi alla mia condizione cardiaca. Nessuno me lo ha totalmente sconsigliato o vietato, sia chiaro. Ma nemmeno mi ha spinto a farlo a occhi chiusi. In parole povere, mi sono guardato allo specchio e ho dovuto decidere da solo. Perché alla fine, quantomeno fino a quando il ministro Brunetta non avocherà a sé anche potere di vita e di morte sui sudditi, quali rischi prendere per la mia vita, lo decido io. Perché io la morte in faccia, per qualche settimana, l’ho vista. Ed è brutta.
In compenso, vivo da due anni in assoluto regime di cautela. Mascherina Ffp2 sempre. Anche all’aperto. Anche durante l’estate del 2020, quella del primo liberi tutti. Gel per le mani sempre in tasca. Distanziamento assoluto, di fatto l’unico lato positivo del Covid per un misantropo totale come il sottoscritto. Stop all’uso di ascensori, visto che i Superman vaccinati – gli stessi che ora stanno in fila davanti alle farmacie per i tamponi – non mettono più la mascherina, quando lo utilizzano. Alla faccia degli ambienti chiusi e del ricambio d’aria.
Vita sociale? Il massimo dell’eversione per me è diventato andare all’Esselunga. O in banca. Utilizzavo i mezzi pubblici, perché per quanto io ami camminare, il diabete comporta la sgradevole controindicazione dell’ipoglicemia, se si esagera con l’esercizio fisico. Quindi, il sottoscritto cammina ma con in tasca sempre una bella scorta di caramelle. E signori, non auguro a nessuno una crisi ipoglicemica in mezzo alla strada. E nemmeno la privazione della libertà di una camminata senza preoccupazione nella mie montagne.
Ora i mezzi pubblici non li uso più, per legge. Perché non ho il super-fanta-mega-green pass. E per quanto ritenga gran parte dei provvedimenti presi in questi mesi totalmente lesivi della mia libertà personale, al limite della denuncia alla Corte Europea dell’Aja, il sottoscritto le regole le rispetta. Persino quando sono sbagliate. Persino quando si vive nel limbo di una condizione sanitaria a cavallo del principio da lancio dei dadi, fra rischio e beneficio. Costretto a fare una scelta. E impossibilitato a godere di un’esenzione. Perché la mia condizione è extra. Sono sempre stato un tipo originale. Persino nelle patologie. Non sono trapiantato, né immunodepresso. Solo sfigato. Tutto bene, insomma. Perché sono vivo.
Però, vorrei delle risposte. Ad esempio, vorrei sapere perché la mia dottoressa di base mi ha scaricato. Le ho inviato una mail richiedendo come al solito i farmaci di cui ho bisogno e per tutta risposta mi ha reso noto di non poterlo fare, avendola io sollevata da quel servizio. Balla colossale. Mai fatto, avendo io bisogno sistematico di farmaci. E, in effetti, alla mia richiesta di produrre una prova di quanto avrei fatto, la risposta è stata pateticamente evasiva. Ho provato a chiamarla per chiarire. Non ha risposto. Allora ho pensato di esserle antipatico. Poi mi sono ricordato dell’ultimo incontro: era stata molto generosa nelle prescrizioni, più del solito. E mi aveva anticipato che avrebbe aperto uno studio altrove a Milano, in una zona molto prestigiosa del centro. Quindi, aveva ritenuto giusto avvisarmi, in caso avessi voluto cercare un’alternativa più vicina. Diciamo che era un preavviso di divorzio. Poi, la conferma. Prima la mia farmacista, divenuta vigile urbano per utenti abbandonati dalla mutua che cerca di indirizzare verso medici in zona che ancora possono accettare assistiti.
E non è stato piacevole scoprire di non essere il solo, che questa rappresenta ormai la prassi e che, al mio prorompere in propositi di pubblica denuncia all’Ordine dei medici fino all’Oms e all’Onu, il suo sguardo si sia intenerito come di fronte a un minus habens appena sbarcato da Marte: “E cosa pensi di ottenere, che succeda qualcosa?”
Poi il sindaco Beppe Sala, furioso proprio con i medici di base della città, dove interi quartieri sono totalmente sguarniti di quel presidio fondamentale. Oggi (anzi, da due anni a questa parte) sempre di più.
Scusate, il Covid non doveva renderci migliori? E, soprattutto, non doveva rendere migliore, più efficiente e vicina al cittadino la sanità pubblica, di base e territoriale? O forse me lo sono sognato? O forse l’unica cosa che vi importa è vaccinare a ciclo continuo, tipo catena di montaggio?
Io posso anche accettare le restrizioni che la mia scelta mi impone, perché ognuno paga le conseguenze di ciò che fa. Ma lo Stato? Perché, ad esempio, il sistema sanitario nazionale – che finanzio da almeno 25 anni con le mie tasse, sempre regolarmente pagate con trattenuta alla fonte – si degna di passarmi mensilmente solo tre confezioni da 50 pezzi di strisce per la rilevazione e il controllo del tasso glicemico nel sangue? A conti fatti, significa che io posso provarmi la glicemia solo 3 volte al giorno. Pochino anche per chi ha avuto la sfortuna di nascere diabetico e non conosce altro stile di vita. Figuratevi per uno che fino a 45 anni non sapeva nemmeno cosa fosse il diabete. Non è bello dire ai propri parenti, a Natale o al proprio compleanno, di non fare un regalo con tanto di sorpresa e fiocco ma di mettermi qualcosa sul conto di Amazon. Perché il gigante cattivo dell’e-commerce vende quelle strisce alla metà esatta del prezzo che pagherei in farmacia, dovendo ovviamente integrare la magra fornitura della mutua. La metà. Ma pur sempre una cifra che viaggia attorno ai 25-26 euro a confezione. E con il mio stipendio, un centinaio abbondante di euro al mese solo per quel bene di lusso pesano. Pesano tanto. Quindi, cerco almeno di ovviare. Ma vi assicuro, preferirei un pacchetto con il fiocco. E un bigliettino da tenere per ricordo.
Questa Sanità, questo Stato, davvero avrebbe il coraggio di venire a comunicarmi in faccia il mio status di untore, destinatario quindi dell’isolamento e del pubblico ludibrio? Il ministro Speranza, alla luce anche soltanto del disservizio che sto patendo con la vicenda del medico di base (del quale ho bisogno, poiché senza insulina vado al Creatore), cosa ha da dirmi? Formalmente dovrebbe essere uomo di sinistra e strenuo difensore della sanità pubblica: cosa mi risponde e cosa risponde all’accusa tutt’altro che velata di scarsa professionalità e deontologia mossa alla classe medica di base milanese da un altro uomo e politico di sinistra come il sindaco, Beppe Sala?
Io accetto le limitazioni, tanto ormai le mie serate sono in compagnia di un libro o di un film. Da solo. Sinceramente, fino a 45 anni ho vissuto abbastanza. Anche troppo, forse. Una terza età anticipata la accetto. Sono vivo, in fin dei conti. Ed è l’unica cosa che conta. Ghettizzatemi pure. Vietatemi di prendere i mezzi pubblici. Magari toglietemi anche la possibilità di lavorare, nonostante lo faccia in perfetta solitudine da casa mia e rischiando di infettare solo lo schermo del computer. Poi, però, fermatevi. E abbiate il coraggio di darmi una risposta. Perché io ho il privilegio di fare un lavoro che mi permette di denunciare le ingiustizie, esattamente come sto facendo in queste righe. Il 99% delle persone deve subirle in silenzio. Per quanto ancora, non mi azzardo però a pronosticarlo. Perché a differenza vostra, io vivo fuori dai Palazzi. E il termometro della rabbia sta salendo. Vertiginosamente. Anche fra i vaccinati, quelli a cui il Palazzo aveva promesso il ritorno alla libertà. E che stanno diligentemente in fila davanti alle farmacia, 15 euro in mano, per poter festeggiare Capodanno. In casa.
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