Egregio direttore,
Alberto Contri, in un lungo contributo comparso domenica 12 maggio 2024 sul Sussidiario, a proposito dei vaccini contro il virus Sars-CoV-2 scrive: “il vaccino non solo protegge per pochi mesi, ma la sua efficacia diventa ben presto negativa. Vale a dire che i vaccinati si infettano più facilmente”, e ancora: “massime autorità … ricordavano spesso … che i vaccini hanno salvato milioni di persone. Ebbene, semplicemente non è vero, perché una simile affermazione non è in nessun modo scientificamente sostenibile”. Se intendo bene, al di là della considerazione che l’efficacia dei vaccini in questione ha durata limitata, argomento che oggi risulta pacifico, e che la seconda citazione sia da intendere riferita anch’essa al vaccino contro il virus Sars-CoV-2, Contri si spinge oltre sostenendo la tesi che l’efficacia di questi vaccini diventerebbe addirittura negativa, e cioè che i soggetti vaccinati si infetterebbero più facilmente dei soggetti (immagino io perché Contri non lo scrive esplicitamente) non vaccinati, e che non sarebbe vero che i vaccini hanno salvato milioni di persone.
Utilizzando i rapporti dell’Istituto Superiore di Sanità relativi a quello che è successo nel nostro Paese a me sembra che i dati indirizzino verso una conclusione diversa. Vediamo perché, non prima però di avere anticipato (chiedendo pazienza ai lettori) una necessaria premessa.
Lo spazio di una lettera non permette di dettagliare e discutere come si dovrebbe tutti gli aspetti di metodo che si trovano dietro ad una valutazione molto complessa come quella che è richiesta in questo caso: definizioni, strumenti di raccolta delle informazioni, metodologie e scelte di analisi, rappresentazione e commento dei risultati, tutti elementi che dovrebbero essere analizzati ed approfonditi con dovizia di particolari e che si trovano facilmente rappresentati anche nelle pubblicazioni cui farò riferimento ma che non sarà possibile esaminare in questo contributo. Capisco quindi il rischio di semplificazione, selezione e potenziale distorsione che ne può nascere, ma da questo punto di vista la soluzione per gli interessati è solo quella di leggere in dettaglio i documenti qui citati e la letteratura scientifica di merito.
Il primo rapporto ISS che esamino ha per titolo Impatto della vaccinazione e della pregressa diagnosi sul rischio di infezione e di malattia severa associata a SARS-CoV-2: un’analisi dei casi diagnosticati nel mese di ottobre 2022. NOTA TECNICA. Vi si dice: “Al 17 ottobre 2022, l’85,8% della popolazione italiana aveva ricevuto almeno una dose del vaccino (il 77,6% da oltre 180 giorni e l’8,3% da meno di 180 giorni), mentre il 14,1% non aveva ricevuto alcuna dose. In generale, in tutte le fasce di età, si osserva un aumento del rischio di infezione per gli individui non vaccinati e/o senza pregressa diagnosi. Per chi non ha avuto una pregressa diagnosi il rischio di infezione nei non vaccinati è quasi quattro volte più alto rispetto a chi ha ricevuto l’ultima dose da meno di 180 giorni e di tre volte più alto rispetto a chi ha ricevuto l’ultima dose da oltre 180 giorni. Il rischio di malattia severa (cioè una diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 che ha avuto come esito l’ospedalizzazione in area non critica e/o il ricovero in terapia intensiva e/o il decesso entro 28 giorni dalla data di prelievo/diagnosi) per la popolazione con età maggiore di 12 anni e senza una diagnosi pregressa di infezione da SARS-CoV-2 è approssimativamente otto volte più alta nei non vaccinati rispetto ai vaccinati”.
Il secondo rapporto ISS che esamino ha per titolo Impatto della vaccinazione e della pregressa diagnosi sul rischio di malattia grave associata a SARS-CoV-2. Mese di riferimento dei casi: 02/01/2023 – 05/02/2023. Data di pubblicazione: 21/04/2023. In esso vi si dice: “Fra il 02/01/2023 ed il 05/02/2023, 278.319 persone (0,5% della popolazione suscettibile) hanno avuto una diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 notificata al sistema di sorveglianza. I casi di infezione che hanno richiesto ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva e/o sono deceduti nei 28 giorni successivi alla data di diagnosi sono stati rispettivamente 8.980 (3,2%), 304 (0,11%) e 1.262 (0,45%). Sotto i sessant’anni il rischio di malattia grave nel periodo considerato non supera mai i 15 casi per 100.000 per la popolazione non-vaccinata e i 9 casi per 100.000 nella popolazione vaccinata. Nella popolazione 60+ il rischio varia da 3 a 307 casi per 100.000 nella popolazione vaccinata e da 20 a 1.090 casi per 100.000 nella popolazione non vaccinata, dove i valori più elevati (307 nei vaccinati, 1090 nei non vaccinati) si riferiscono ai soggetti che non hanno avuto una diagnosi pregressa di infezione da SARS-CoV-2. A parità di fascia di età e di condizione di pregressa infezione, in tutte le classi di età maggiori di 12 anni, si osserva una tendenza alla riduzione del rischio di malattia grave nei vaccinati, in particolare nella popolazione over 60 con vaccinazione recente (ultima dose entro 180 giorni). Quanto appena riportato mi sembra porti a conclusioni diverse rispetto a quelle che ho capito dalla lettura del contributo di Contri.
Le considerazioni sopra esposte, però, nulla dicono relativamente alla sicurezza o non sicurezza dei vaccini (e meno ancora di altri punti presenti nel contributo di Alberto Contri) e neppure possono essere prese ad eventuale giustificazione delle decisioni assunte e delle attività messe in opera dalle autorità deputate all’affronto della pandemia.
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