Son trent’anni, caro il mio prete, che son costretto a scrivere Buon Natale da dentro la mia cella di galera: quest’anno sarà il “Natale numero trenta” che io passerò qui. Da bambino sognavo di andare, un giorno, a vedere Betlemme: mi sono rassegnato a pensare che questa cella rimanga, ormai, la mia Terra Santa d’ora in avanti. Quanti ricordi mi risvegliano questi giorni di festa. Vorrei ritrovare quel sonno di quando ero un bambino piccolissimo: la notte di Natale neppure i cannoni riuscivano a svegliarmi. Mia mamma mi diceva sempre che quella notte era proibito aprire gli occhi, anche solo per sbaglio, perché Babbo Natale, nel timore di essere visto, sarebbe volato sopra i tetti di casa senza portarmi i doni, quelli che aspettavo con ansia da un anno intero. Così sprofondavo nel sonno, lasciando, ignaro, che mio padre montasse nella notte in camera mia i binari del trenino elettrico senza che neppure me ne accorgessi. Ora, quel treno elettrico, si chiama ergastolo: mi ha condotto qui, in una sezione di galera che somiglia a un binario morto di una ferrovia: “Fine pena mai” c’è scritto nel calendario che mi ha consegnato la giustizia. Per la mia pena non c’è fine, per la speranza c’è il rischio che abbia fine. Che finisca prima della pena: a tanti è già successo.



Non mi crederai, vedendo che non sono più bambino (potrei essere quasi tuo padre), ma vorrei ritrovare ancora, qui dietro le sbarre, quei sapori di Natale. Da piccolo impazzivo per l’insalata russa: era un piatto per i ricchi e ricordo che, a casa nostra, si comprava solo una volta all’anno al supermercato, in vista del Natale. Ne mangiavo a bizzeffe senza fermarmi, socchiudevo gli occhi, gustavo quell’intruglio e mi immaginavo di essere il figlio di una bella nobildonna. Vorrei ritrovare, di quei Natali, le persone che ho tanto amato e che oggi sopravvivono nella memoria: gli abbracci di mia madre, i silenzi pieni d’amore di mio padre, il profumo di buono che aveva nonna. Chissà dove saranno loro in questo preciso momento. Te lo confesso: sono tantissime le cose che vorrei poter ritrovare. Sono cose che ho perduto, eppure non farei cambio con nulla al posto della mia età: quella non la cancellerei mai e anche adesso, come allora, io continuo a credere nell’esistenza di Babbo Natale, nella bontà, nei giusti premi.



Mi rifiuto di pensare che in questa vita il bene non venga ripagato.

L’altro ieri, qui nel nostro carcere, è morto Donato Bilancia. Quante volte, incontrandolo, gli abbiamo voltato le spalle: qui dentro abbiamo delle regole che manco noi siamo in grado di capire, ma ci costringiamo a rispettarle. Anch’io ho ucciso, non quanto lui, ma la morte è sempre morte, signori. Quando ho sentito le campane suonare e ho pensato che iniziava il funerale, mi son trovato a dirgli un’Ave Maria: “A Betlemme tu sei riuscita a far nascere Dio in una stalla, perché non potrebbe esser nato anche in lui?” le ho chiesto. Sto aspettando la risposta: se arriva, spero non ci faccia del male. A noi piace sentirci dire le risposte che ci piacciono, non le risposte più giuste. Dopo trent’anni di galera, anche la testa va e viene come l’acqua calda delle docce in questi giorni. Però, nonostante tutto, continuo a sorridere, ad emozionarmi, a sognare: sono contentissimo di farlo e non ho paura del futuro, anche se il mio futuro non ha nessun futuro prenotato: Fine pena mai! Scrivere Buon Natale anche quest’anno, ti prego di credermi, è per me una grandissima conquista: resto convinto più che mai che questa sia la mia stagione più bella possibile. Vuoi sapere qual è l’immagine di Natale che ho nel cuore? È il volto di mia madre: sono trent’anni che, ogni giorno di Natale, mi dice che il prossimo lo passeremo assieme. La fine della speranza è mai, per lei. È la corda che mi tiene appeso alla vita: l’altra corda, quella che noi vediamo ovunque, porta dritta da un’altra parte. Accetta il mio augurio: quello di sentire, a Natale, una voce che ti tenga in vita. Se così sarà, ci aspetterà un bel Natale.



Porta questi auguri a tutto il mondo da parte mia, se li accetterà. Se non li accetterà, tu portaglieli lo stesso: gli sputi sul volto te li toglierò io.

Un ergastolano da “30-Natali” del Carcere “Due Palazzi” di Padova