Caro direttore,
le scrivo due righe su come vedo il Natale in carcere. Purtroppo sono qui da molti anni, ogni Natale torna, bussa, interpella, ma non è facile rispondere.
Questo è un luogo allegro. Non alludo solo a sbarre e chiusura, al grigiore che domina gli ambienti; nemmeno intendo considerare fin troppo scontato che chi risiede qui ha perduto la libertà: bene inestimabile la cui mancanza pesa come un macigno.
Piuttosto dico come sia questo un luogo affollato e chiassoso di un rumore continuo fatto di cancelli che sbattono, tv accese sempre a volume altissimo, grida e voci; un frastuono che non dà requie e nel quale si finisce con l’essere soli, benché circondati da gente.
Non è normale conversare, qui. Certo, le chiacchiere abbondano, ma è altra cosa. Non si conversa mentre si gioca a carte; non lo si fa mentre ci si sposta verso i cortili del “passeggio” o si accede alle aule, ai laboratori, alla palestra o alla biblioteca… intorno, troppo giudizio, troppe valutazioni impediscono lo scambio e tolgono autenticità. Manca molto la possibilità di “incontrarsi” davvero, di non essere superficiali, di donare e ricevere pensieri e riflessioni. Un poco recuperano i volontari: entrano in carcere per offrire aiuto e il più prezioso è proprio la possibilità di un momento di confronto e di circolazione di idee. Ancor di più lo si fa con i propri familiari in visita, assai meno di una volta, però: il Covid ha diradato i colloqui.
In un contesto così, come può farsi strada il Natale? Là dove in tantissimi non attendono nulla, o addirittura non possono attendersi nulla, come si fa ad attendere Gesù che torna a nascere? Anche solo accennarne sembra una presa in giro. Non c’è quella preparazione che caratterizza il “fuori”. Novembre passa senza segnali, qualcosa di più si vede in dicembre, ma più che altro perché ci pensa il cappellano o i suoi aiuti o quei volontari. Si allestiscono anche presepi, qua e là; si appende qualche festone colorato nella zona della cappella, c’è qualche albero di Natale, ma…
Non è molto sentito, bisogna dirlo. Penso che Gesù nascendo da queste parti ritrovi l’ambiente originario: non lo aspettava nessuno. Solo sua Madre e san Giuseppe ne avevano una qualche idea; anche i pastori che si trovavano per caso là ne furono sorpresi. Qui è così: distrazione, forse indifferenza.
Però… Però. Pure quella volta, nel disinteresse generale, c’erano i Magi che qualcosa avevano capito, che leggevano il cielo e su quel segno si erano messi in cammino. Loro intuivano ed erano disposti a faticare per comprendere.
Non ci crederà, caro direttore, ma persino in questo luogo grigio accade; da alcuni anni me ne accorgo. All’improvviso si vede in qualche cella un angolino in cui c’è un mini-presepe; chi ha ricevuto per posta un “calendario d’Avvento”, con le finestrelle, lo appende sopra la branda; c’è chi si procura bigliettini natalizi da spedire. Ho persino notato che alcuni, con discrezione, fanno arrivare dai familiari vestiti da passare a chi non ne ha (e quanti sono!). E c’è un fatto: da alcuni anni i volontari di Incontro&Presenza ci offrono di partecipare alla Colletta del Banco Alimentare e sa che c’è? La gente, i “delinquenti”, i “prigionieri”, lo fanno! Più di 1200 kg di cibo, quest’anno. Danno del loro a chi ha di meno, a chi ha fame a chi forse è libero (ricchissimo!) ma si vede che invece è povero.
È Natale questo? Credo che lo si possa chiamare così e mi pare che Gesù Bambino, mentre guarda dai presepi montati nei corridoi, ci stia sorridendo.
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