Caro direttore,
forse anche il più ottimista degli esseri umani non può non essere triste di fronte allo spettacolo offerto dal teatrino della politica negli ultimi tempi. In Spagna, il premier, dopo avere sciolto il Parlamento improvvisamente, si allea con i partiti che vorrebbero spaccare il Paese, mentre in Italia il presidente del Consiglio trova il plauso di chi si oppone alla autonomia regionale. In Francia, un altro presidente, dopo avere affermato addirittura come “diritto” quello di sopprimere la vita nascente, scioglie anch’egli il Parlamento e, fregandosene del responso elettorale, elimina addirittura dalla possibilità di un confronto il partito di maggioranza relativa.



In Europa viene riproposto lo stesso assetto istituzionale (persino nei nomi dei protagonisti) di prima, come se il voto non contasse nulla: anzi, è un assetto istituzionale ancora più contrario a quello auspicato dal voto dei cittadini (e poi ci lamentiamo che aumenta l’astensionismo). In Germania, prosegue il suo cammino un governo palesemente azzoppato, che pretende, comunque, di governare addirittura tutta Europa. Negli USA, lo spettacolo è quotidianamente assicurato ad un pubblico mondiale che pensa di non essere pagante. In Italia, si continua ad urlare da tutte le parti, senza ragionare sui contenuti e senza pensare al vero bene comune, di cui, però, ci si riempie la bocca. E poi, a 79 anni di distanza, si continuano a vedere fascisti ovunque: chiunque non sia d’accordo con le idee di qualcun altro è, solo per questo fatto, un fascista. E poi, ci pensa la magistratura a dare colpi mortali alla democrazia, decidendo lei chi deve governare e chi no (il caso Toti insegna). Tutti urlano e basta, pensando che la politica si faccia con gli slogan e non con l’impegno serio sulle scelte concrete da fare.



In questo clima desolante, a metà luglio su La Stampa è stato pubblicato un articolo, come al solito interessante e stimolante, di Giovanni Orsina, così sinteticamente espresso nel titolo: “La politica sostituita dalla morale, così esplodono conflitti e populismo”. Orsina dice una cosa giusta: è vero, infatti, che la politica si è “ritirata”, il che è avvenuto definitivamente nel 1992, quando ha ceduto armi e bagagli allo strapotere (anche violento) della magistratura, come anche il caso Toti dimostra. Orsina così sintetizza il proprio pensiero: “In quest’ordine depoliticizzato, l‘accento storico si è spostato sulla moralità”. È su questo giudizio che mi permetto di correggere Orsina, perché, in effetti, la politica non ha ceduto il proprio spazio alla “morale”, ma al “moralismo”, che è lontano dalla vera morale, essendone un aspetto gravemente patologico e distorcente. Non a caso il “moralismo” è il vero protagonista di ogni rivoluzione, a partire da quella francese, che per affermare i suoi tre grandi principi finì per usare la ghigliottina.



Anche il moralismo di oggi ha i suoi strumenti coercitivi che solo per un ritegno di buona educazione non sono ancora arrivati alla ghigliottina. Oggi, il moralismo, che ha la grande capacità di dividere a piacimento (contro la grande tradizione cristiana) i cittadini tra buoni e cattivi, senza possibilità di appello e con criteri assolutamente arbitrari, si avvale, innanzi tutto, di certe parole, cui non viene assegnato un vero contenuto, ma che hanno la capacità di escludere l’interlocutore dai salotti in cui si prendono le decisioni.

Oggi la politica sembra essere abitata da tanti arbitri con il cartellino rosso in tasca, pronti ad esibirlo appena l’interlocutore non piace. Ecco alcune di queste parole senza veri contenuti. Cosa significa, nella realtà, la parola populismo, usata un minuto sì e l’altro pure, per togliere dal tavolo qualunque interlocutore? Lo stesso Orsina arriva ad indicare tale parola come uno dei mali derivati dall’arretramento della politica. Ma dove sta il male mortale incluso in questa parola? Nessuno lo dice, nemmeno il bravissimo Orsina.

Certo, se si fa coincidere la parola con aspetti demagogici della politica, essa deve essere decisamente rifiutata. Ma se essa include il dovere di ascoltare di più il popolo che vota, allora le cose cambiano. Ascoltare il popolo significa anche ascoltare le chiacchiere da bar, che spesso sono più sagge delle parole di molti politici, come quelle dell’ultimo Macron. Chesterton diceva che dobbiamo ascoltare di più “l’uomo comune”: anche questo sarebbe populismo?

Poi c’è un’altra parola che viene usata come arma contundente ed è sovranismo. Ma che cosa significa? Se con essa si intende un principio di chiusura verso tutto ciò che è esterno a sé, allora sarebbe parola giustissima. Ma se con tale parola si intende far tacere ogni amore verso la propria appartenenza al contesto concreto in cui ciascuno è nato (nessuno si è fatto da sé), allora occorrerebbe almeno ragionare, anche per non cadere nelle grandi contraddizioni a cui stiamo assistendo in queste ultime settimane. Durante il campionato europeo di calcio, che ha coinvolto milioni di spettatori europei, gli stadi erano pieni di tifosi vestiti con i colori della propria nazione e, ad ogni goal, i tifosi impazzivano di gioia perché il proprio Paese aveva segnato un punto a proprio favore. Tutti sovranisti? Il re degli anti-sovranisti, l’ineffabile Macron, ha inaugurato le Olimpiadi con un inno (molto stonato e blasfemo) alla propria Francia. Sovranista anche lui? E chi si augura che l’Italia vinca molte medaglie è sovranista anche lui? Solo pochi esempi per dire che sulle parole occorre ragionare, non urlare.

Ma anche altre parole andrebbero spiegate. Cosa significa moderatismo? Questione di modi o di contenuti? Cosa significa centrismo? Centro rispetto a che cosa, visto che oramai impera il più forsennato relativismo? Ma anche la parola estremismo andrebbe spiegata. Se posso esprimere un mio personalissimo pensiero, ritengo che l’attuale governo europeo, nominalmente moderato, abbia imbarcato dei pericolosi e dannosi e pericolosi “estremisti” chiamati “Verdi”.

Scusa se sono stato un po’ lungo in questa lettera. Volevo semplicemente dire che la politica, se vuole riprendere la propria centralità, dovrebbe abbandonare il “moralismo” ghigliottinaro in cui si è cacciata, ricominciando a dialogare sui contenuti e sul vero bene comune. Basta con le urla e le esclusioni aprioristiche.

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