È stato coniato un apposito termine, “Great resignation”, per indicare il numero crescente di lavoratori che decidono di dimettersi volontariamente dal posto di lavoro. Il fenomeno è apparso nell’estate 2021 negli Stati Uniti e si è esteso anche in Europa. Nel nostro Paese sono quasi 2 milioni 200 mila le dimissioni registrate nel 2022, in aumento del 13,8% rispetto al 2021. I motivi che inducono i lavoratori a lasciare il posto di lavoro sono i più svariati: dalla ricerca di percorsi di carriera che offrano maggiori prospettive di crescita anche sul piano retributivo o modalità di lavoro più “agili” al malessere emotivo dato dall’assenza di riconoscimenti di merito o dalla mancanza di rispetto sul posto di lavoro.
In qualche caso, i lavoratori decidono di andarsene senza neppure avere tra le mani un’altra offerta di lavoro. Altre volte, invece, i dipendenti approfittano di nuove offerte lavorative per negoziare con il proprio datore di lavoro condizioni contrattuali più favorevoli o, più semplicemente, cambiano idea, creando non pochi problemi alle aziende che hanno formulato la proposta di assunzione. Spesso, infatti, le aziende che hanno la necessità di assumere si avvalgono dei servizi di apposite società di ricerca e di selezione di personale per individuare il lavoratore da assumere; e i servizi hanno un costo. Ma soprattutto, la società deve poter contare sul rispetto dell’impegno all’assunzione da parte della persona selezionata, anche per non avere scoperture in posizioni lavorative magari strategiche e per non essere costretta a dover avviare una nuova ricerca o a dover inseguire i candidati precedentemente scartati.
Per questo motivo, le aziende intenzionate ad assumere tendono sempre più frequentemente a inserire nella lettera di impegno all’assunzione il corrispondente impegno da parte del lavoratore al pagamento di una penale nel caso in cui, dopo aver sottoscritto per accettazione la lettera della società, il lavoratore decida di cambiare idea, rinunciando all’assunzione o non prendendo servizio alla data concordata. La clausola penale ha proprio la funzione di rafforzare il vincolo negoziale, determinando, in via forfettaria e preventiva, l’ammontare del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione, a prescindere dalla dimostrazione dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio effettivamente patito (salva la risarcibilità del danno ulteriore).
È questo il caso deciso recentemente dal Tribunale di Forlì con sentenza del 21/03/2023. La società e il lavoratore avevano sottoscritto una lettera con la quale il lavoratore veniva assunto come Direttore amministrativo con efficacia differita di tre mesi per dargli un po’ di tempo per risolvere il rapporto di lavoro in corso. All’interno della lettera veniva stabilito un periodo di prova di sei mesi e veniva prevista una clausola penale che obbligava il lavoratore al pagamento di un importo pari all’indennità sostitutiva del preavviso previsto in caso di licenziamento (nella specie, di sei mesi) nel caso in cui, per motivi a lui imputabili, il lavoratore non avesse preso servizio alla data concordata.
Un mese prima della data concordata il lavoratore comunicava alla società la volontà di rinunciare all’assunzione e, stante il rifiuto di pagare la penale, la società chiedeva e otteneva un decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Forlì intimava al lavoratore il pagamento dell’importo di quasi 55 mila euro a titolo di penale. Il lavoratore proponeva opposizione, adducendo che la previsione contrattuale del patto di prova avrebbe reso invalida la clausola penale e avrebbe escluso comunque la sussistenza di un danno risarcibile. Il patto di prova consente, infatti, a entrambe le parti di recedere liberamente dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso e/o di pagamento della relativa indennità sostitutiva. Il che, a detta del lavoratore, avrebbe reso “incongrua” la pretesa di pagamento della penale.
Con la citata sentenza del 21/03/2023, il Tribunale di Forlì ha rigettato l’opposizione del lavoratore, rilevando che la clausola penale è valida ed efficace in base al principio di autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c., il quale prevede che le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Quanto alle eccezioni sollevate dal lavoratore, il Tribunale ha osservato che la clausola di rispetto della data concordata di presa servizio e la previsione del patto di prova hanno oggetto e finalità differenti e sono volte a tutelare due momenti differenti del rapporto di lavoro: la clausola penale tutela l’interesse della società all’assunzione del lavoratore e al risarcimento del danno da eventuale inadempimento dell’impegno di prendere servizio alla data concordata; il patto di prova, invece, doveva trovare attuazione al momento della presa in servizio del lavoratore, rispondendo a un interesse differente e specifico delle parti, quello di saggiare la reciproca convenienza del contratto. Perché si possa invocare la libera recedibilità nel periodo di prova ai sensi dell’art. 2096 c.c. – osserva il Tribunale – è però necessario che il rapporto si sia costituito e che le parti abbiano consentito e svolto l’esperimento che forma oggetto del patto di prova. Il che non era avvenuto nel caso di specie, il lavoratore essendosi rifiutato di prendere servizio alla data concordata.
Il Tribunale ha rigettato anche la richiesta di riduzione della penale proposta dal lavoratore ai sensi dell’art. 1384 c.c., il quale prevede che la penale può essere diminuita equamente dal giudice “se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento“. Secondo il Tribunale, la misura della penale pattuita nel caso di specie non era eccessiva, considerando l’interesse della società all’assunzione, comprovato dai costi ingenti sostenuti per far fronte all’impatto organizzativo determinato dal lungo periodo di scopertura nel ruolo strategico di Direttore amministrativo, che comprendevano il compenso pagato alla società di selezione del personale e il compenso pagato al consulente che ha svolto le attività amministrative prima che venisse individuato un nuovo Direttore amministrativo.
Dunque: è sempre il caso di fare attenzione a quello che si firma quando si riceve un’offerta di lavoro. Ed è bene considerare che in caso di inadempimento il lavoratore può essere tenuto al risarcimento del danno anche in assenza di una clausola penale, che ha solo lo scopo di determinare, in via forfettaria e preventiva, l’ammontare del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.
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