Caro direttore,
mi viene chiesto spesso perché mai ci sia bisogno di una nuova forza politica autonoma di matrice popolare. Non sarebbe più semplice organizzarne la presenza in uno degli schieramenti esistenti, di destra o di sinistra, pur dovendo fare i conti con i rispettivi radicalismi?
Peraltro, la presenza di una legge elettorale maggioritaria alimenta per molti questo interrogativo. Io penso che siano i fatti a imporre l’esigenza di una forza politica popolare. Provo a spiegarmi con il riferimento a un fatto di cronaca, a mio avviso paradigmatico: la vicenda relativa al divieto del prefetto di Milano di iscrivere all’anagrafe i figli di coppie omogenitoriali.
La considero paradigmatica perché evidenzia come in generale le posizioni politiche oggi prevalenti siano costruite sull’elaborazione di proposte riferite a modelli astratti, conditi di demagogia ideologica, che cercano di forzare la realtà o ne ignorano una parte.
In questa vicenda abbiamo assistito, da sinistra, a una difesa acritica delle richieste delle coppie omosessuali e, da destra, all’opposizione aprioristica. Insomma, le attuali narrazioni di destra e di sinistra rincorrono in uguale misura il tratteggiamento di un profilo identitario forte, che catturi l’immaginario di una parte della pubblica opinione. Per farlo forzano la vita reale entro i confini valoriali di ciò che, secondo loro, è vero o falso, giusto o ingiusto.
Nella difesa del proprio obiettivo identitario ciascuna delle parti cancella dall’orizzonte una parte del problema e ricorre a qualunque argomento sia funzionale alla propria tesi: così chi è a favore mette in mezzo il diritto alla libera circolazione sancito dall’ordinamento comunitario; chi è contrario si arrocca intorno alla difesa dell’ordine pubblico nazionale.
Non sono più dunque gli interessi in gioco a ispirare le decisioni, ma sono gli obiettivi che si intendono raggiungere che scelgono gli argomenti più utili al fine. Comunque vada a finire è l’ideologia che prevarica il bisogno. Nel frastuono di questo scontro scompare la voce dei senza voce, cioè di quelle posizioni più fragili che vorrebbero riconoscimento e tutela per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe rappresentassero: progresso contro conservazione oppure ordine contro caos.
Non è affatto un caso che in una dinamica di questo tipo crescano disinteresse e astensionismo. Mi sembra che questa situazione lasci emergere con chiarezza il cuore della questione, che risiede nel modo di intendere i problemi e di costruire le soluzioni.
L’approccio popolare non muove da un principio astratto, ma da un’analisi della realtà, perché è solo la lettura di una società e della sua storia che stabilisce i limiti entro i quali le istituzioni e le norme possono essere funzionali al regolamento dei rapporti civili, senza cedere a tentazioni ideologiche, moralistiche o confessionali.
Beninteso, ci sono sempre fattori morali che incidono su tutte le vicende dell’esistenza umana, in particolare quelle che toccano i diritti delle persone e la loro libertà. Tuttavia, l’affermazione laica dei convincimenti morali e religiosi non avviene in termini di assolutezza e di verità, ma nel dibattito e nell’incertezza della lotta politica, per cui a essi è imposto un salto di qualità, nel senso che devono agire nel campo del confronto e della mediazione con diverse sensibilità. Nel caso delle coppie omogenitoriali e dei loro figli, come potrebbero essere interpretati i dati di realtà in un’ottica popolare? Assumendo tutti i termini del conflitto all’interno della costruzione della risposta.
E dunque: l’istanza di genitorialità di persone omosessuali, in quanto forma di espressione della personalità, non può essere ignorata, ma esige di essere riconosciuta con modalità coerenti con la natura di aspirazione e, soprattutto, in termini compatibili con i concorrenti diritti della personalità. Il che implica che qualora, per questo fine, si intenda ricorrere alla pratica all’estero dell’utero in affitto, occorre necessariamente affrontare, e non aggirare con ipocrisia, problemi giuridici e morali molto seri legati alla protezione della dignità della donna, al rischio di mercificazione del corpo umano e all’esigenza di identità e continuità biologica dei bambini, questione diversa ma non meno rilevante di quella affettiva, che può incidere in modi rilevantissimi sulle ragioni di vita della persona.
E sopra tutto, considerata l’intrinseca posizione di debolezza, va valutata con attenzione la condizione dei bambini in tutti i suoi possibili aspetti, a partire dalla questione della loro iscrizione nei registri, che toccando situazioni di vita attuali impone di non ignorare gli effetti di soluzioni che incidano negativamente sulla condizione dei minori.
Ci sono dunque in gioco almeno tre posizioni rilevanti sul piano etico e giuridico, la cui composizione non può partire “dalla fine” e cioè da una risposta ideologica e schematica, a favore o contro. Deve invece costruirsi “dall’inizio”, cioè dalla presa in conto delle aspettative e dei diritti di ciascuna posizione e della necessità di trovare una loro mediazione.
Il popolarismo in quanto metodo spinge a cercare risposte non fondate su astratte pretese di verità, ma dentro la complessità della realtà. L’esigenza di una politica di centro non è quindi la reazione a una istanza politologica o schematica, ma è l’espressione di una politica fondata, ma non piegata, sulla realtà. Il bisogno di sicurezza e il desiderio di libertà, che in misura diversa caratterizzano le principali tendenze sociali, non sono i termini di uno scontro irriducibile, ma gli elementi di un conflitto che la cultura politica deve pacificare offrendo loro un orizzonte di compatibilità.
L’innovazione del pensiero, che i cambiamenti impongono, non è un miscuglio di buoni propositi formali, quanto piuttosto il risultato del confronto quotidiano tra ordini culturali e morali che mettono in discussione se stessi, offrendo al consenso sociale le soluzioni il più possibile avanzate e tali da assicurare la tutela delle istanze di dignità e di piena e libera realizzazione dell’esistenza umana.
Io penso che uno sforzo di questo tipo non abbia le condizioni per svolgersi all’interno di contenitori altri, di forme confuse di relazioni tra culture, spesso pretesto di contese correntizie e di sommatorie vuote. Non che venga messa in discussione la legittimità di scelte personali per forze politiche che si ritengano più prossime alle proprie ragioni: non c’è alcuna forma di unità da evocare in maniera subdola.
Ma si tratta di scelte, appunto personali, che si collocano in un campo diverso da quello che distingue lo sforzo di attuazione della specificità del pensiero popolare: agire secondo il metodo realista avendo al centro la persona, non come entità ideale, ma nella concretezza della sua presenza nella storia.
Mi pare che questo metodo non sia assimilabile a nessuno di quelli oggi in campo ed esiga, per esprimersi pienamente, una presenza autonoma e chiara. Non solo per una questione di identità, ma soprattutto per essere di aiuto all’intero sistema politico e sociale. Non mi domando quindi cosa sia tatticamente più conveniente o se occorra una legge elettorale diversa. E nemmeno quale sia l’orientamento del variegato mondo cattolico. So che di questo modo di concorrere alla vita pubblica per il bene generale oggi c’è bisogno.
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