Dopo l’apertura – nella giornata di ieri, lunedì 23 settembre 2024 – del processo a carico di Filippo Turetta, il ragazzo accusato dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin si prepara all’interrogatorio da parte della Corte d’Assise di Venezia a cui verrà sottoposto il 25 ottobre: un atto necessario e legato alla sua assenza dalla prima udienza di ieri e per il quale – secondo il Corriere della Sera – potrebbe tornare centrale quella lettera che il ragazzo scrisse dopo la sua fuga e l’arresto, proprio negli attimi in cui si trovava in un carcere tedesco in attesa dell’estradizione verso l’Italia.



Un lettera – quella di Filippo Turetta – piuttosto lunga e che sembra essere una sorta di testimonianza di quello che passava nella mente del reo confesso in quei tragici momenti prima del ritorno in Italia e che in nessuna sua riga o parola lascia trasparire la volontà di scaricare le sue colpe su di un qualche (mai accennato) problema mentale o raptus; e che anzi vuole essere un modo per discolpare completamente i suoi genitori nella speranza che “nessuno vi giudichi, vi guardi male, rovini la vostra situazione lavorativa o affettiva e le vostre amicizie”.



Il punto di partenza di Filippo Turetta – tuttavia – è quella “paura a tornare in Italia” causata da tutto “l’odio e la rabbia che ho generato” e che non fatica a definire del tutto “meritate”, sottolineando che ritiene di aver “peggiorato il mondo in qualche modo” e soprattutto di aver “perso la persona più importante della mia vita, la persona che era tutto per me e che da due anni penso ininterrottamente”: un dolore – scrive – interamente causato “per colpa mia” e che gli piacerebbe cancellare completamente tornando “indietro” nel tempo.



La lettera di Filippo Turetta ai genitori: “Sarebbe stato meglio per voi un figlio morto che uno come me”

Nella sua lunga lettera Filippo Turetta confessa di non sapere “perché l’ho fatto” – riferendosi ovviamente all’omicidio di Giulia Cecchettin – e di provare un profondo rammarico all’idea che “vivrò tutta la vita in carcere, non potrò più laurearmi, conoscere persone [e] avere una famiglia”; ma nonostante questo ritiene anche che “non esista perdono” per lui perché “ho rovinato la vita a troppe persone senza averci pensato prima”; peraltro senza neppure riuscire “ad uccidermi” come aveva progettato fin dall’inizio scappando in Germania. 

Tornando alla madre e al padre, Filippo Turetta ci tiene a parlare di loro come di “ottimi genitori” che hanno sempre saputo “educarmi al meglio”, per esortarli – “lo capirei e lo accetterei”, scrive – a “dimenticarmi e rinnegarmi come figlio” ritenendola “la scelta migliore per la vostra vita”; mentre in chiusura – sottolineando che forse per i suoi genitori sarebbe “meglio un figlio morto che uno come me” – Filippo Turetta si dice invidioso di chi “chi ha avuto il grande coraggio di [suicidarsi]” giurando che “se solo avessi il pulsante del suicidio istantaneo, non esiterei a premerlo“.