Caro direttore,
non riesco proprio a iscrivermi al club di chi dice che “l’Europa deve svegliarsi”. Non ci riesco perché l’Europa siamo noi, non altri sui quali riversare – quando fa comodo – responsabilità e colpe.
Il club ora dice che non si può fare la difesa europea se non c’è una politica estera comune, ma che questa non può esserci perché non c’è unità politica. Questa Europa sarebbe uno strano animale a più teste, dalle braccia rattrappite, animato da spiriti individualisti e laicisti, che non può pensare di difendere confini comuni se prima non si dà una identità. Allora chiudiamola questa Europa, se è così è inutile.
Io penso, invece, che l’Europa siamo noi. Lo penso anche perché negli ultimi anni ho avuto la fortuna e la grazia di incontrare la figura di Alcide De Gasperi e poterne approfondire il pensiero e la testimonianza. De Gasperi credette incondizionatamente nell’Europa quando ancora ne esisteva solo un barlume. La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio era un progetto debolissimo, frutto della paura della guerra. De Gasperi, che con Schuman e Adenauer aveva una visione lungimirante e profetica, non si arrestò di fronte a questo.
Ai molti che mi chiedono cosa penserebbe se fosse vivo, rispondo che certamente sarebbe dispiaciuto che il suo progetto non si sia ancora completato, ma non potrebbe non apprezzare i molti passi avanti fatti. De Gasperi continuerebbe a credere nell’Europa, oggi come allora.
A partire dal tema della difesa comune: De Gasperi non diceva che per fare la CED sarebbero servite prima una unità politica o una visione comune di politica estera, anzi sosteneva che la difesa comune fosse la via maestra per costruire l’Europa politica. Infatti, se i popoli decidono di difendere i medesimi confini, significa che considerano quello che c’è all’interno come una cosa sola: la polis comune. Questo vale oggi come allora.
Il club al quale non mi iscrivo sostiene che in Europa non esiste per nulla una visione politica comune: il mio personale punto di vista è molto diverso, e si basa su almeno quattro esempi.
Il primo risale ormai a 23 anni fa. Ciò che ha sempre limitato il progetto europeo è stato il timore della “cessione di sovranità”. Ma come osserva acutamente Antonio Polito nel suo libro Il costruttore, De Gasperi non pensava a una cessione di sovranità, ma “… aveva capito che l’interesse nazionale si protegge meglio in un consesso di nazioni in cui la sovranità è condivisa, e per questo moltiplicata”.
L’euro è un esempio chiaro: i Paesi che vi hanno aderito hanno ceduto la propria sovranità monetaria, ma ne hanno ricevuto in cambio una sovranità molto rafforzata. Senza l’euro, soltanto il marco avrebbe forse potuto essere annoverato tra le valute di riserva, certamente non la lira, la dracma o la peseta.
Negli ultimi anni abbiamo, poi, avuto tre “sveglie”, quelle che gli americani chiamano wake-up calls: la pandemia, l’aggressione russa all’Ucraina e ora l’avvento al potere negli Stati Uniti dello strano trio Trump-Vance-Musk.
Alla pandemia, l’Unione Europea ha risposto facendo per la prima volta debito comune con il Next Generation Fund, del quale il nostro Paese ha abbondantemente beneficiato. Allora questo andava bene a tutti, anche se non ricordo grandi parole di approvazione per il coraggio di Ursula von der Leyen e delle vituperate istituzioni di Bruxelles.
Alla guerra russa l’UE ha risposto in modo unitario, non cedendo al ricatto del gas con il quale Putin contava di dividere l’Europa, anzi accettando di pagare un prezzo enorme in termini economici, perché il sostegno al popolo ucraino era più importante.
La terza sveglia è vista ora da molti (da alcuni persino con un certo sollievo) come quella che dovrebbe definitivamente distruggere il fragile progetto europeo. La risposta, per ora, è stata immediata: in un mondo ormai in guerra, e senza più la protezione americana, occorre che l’Europa si riarmi per ripristinare quella deterrenza che ha garantito ottant’anni di pace e che colpevolmente abbiamo lasciato cadere, fidandoci ingenuamente della buona fede di Mosca.
Dunque, scelte dove la politica ha prevalso.
È ovvio che il progetto europeo vada completato, a partire dall’eliminazione del principio di unanimità, perché in democrazia contano le maggioranze: ma la percezione che l’Europa sappia fare scelte politicamente impegnative, insieme alla sua potenza economica, la rende un soggetto che fa molto più paura di quanto noi possiamo immaginare. È questa la vera ragione per la quale i potenti del mondo vogliono distruggere l’Unione Europea, spartendosene le spoglie.
Andare avanti sul progetto di riarmo dell’Europa è fondamentale per fare un nuovo passo verso la completa unione politica, ed è giusto usare il termine riarmo perché siamo di fronte a interlocutori che non hanno mezze misure. De Gasperi, cattolico profondamente convinto e in odore di beatificazione, scriveva: “Le alleanze difensive, e soprattutto gli armamenti che ne sono la conseguenza, sono una dura necessità preliminare”. Forse anche molti cattolici dovrebbero rileggere oggi queste righe.
Anziché continuare a indebolire il modello europeo, spingendo l’opinione pubblica sempre più verso l’euro-scetticismo, dovremmo difenderlo, perché, pur con tutti i suoi limiti e con buona pace del vice-presidente americano Vance, esso poggia ancora su valori solidi.
Tra l’individualismo liberista americano, che ha come unico ideale l’accumulo di ricchezza, ma lascia per strada quelli che non riescono, e il collettivismo post-comunista russo-cinese, nel quale l’uomo è ridotto a numero, l’Europa è l’unico brandello di mondo nel quale, come osservava già vent’anni fa l’americano Jeremy Rifkin, esiste un sogno comunitario. Un sogno che si basa sulla centralità della persona, sulla solidarietà, sull’economia sociale di mercato, sull’assistenza sanitaria universale, sul rispetto delle istanze dei più deboli.
Io personalmente, questa Europa, imperfetta e piena di difetti, dei difetti che sono di ciascuno di noi, non la cambio con nient’altro al mondo.
Quindi, non mi iscrivo al club di quelli per i quali “l’Europa deve svegliarsi”.
Ma proprio per nulla.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.