Caro direttore,
è scomparso a 90 anni nella sua Catania – dove il figlio Enrico è oggi sindaco della città – l’onorevole Vincenzo (Enzo) Trantino.
Ricordo bene che quando, alla Camera, l’onorevole Trantino prendeva la parola, nell’emiciclo calava il silenzio e anche i commessi ascoltavano attenti. Erano, i suoi, interventi speciali e mai di routine, dove l’eloquenza si sposava con l’ironia, l’arguzia, le capacità dialettiche e sempre con una logica deduttiva che lasciava trasparire il valore dell’avvocato di grande qualità.
Enzo Trantino era un galantuomo che ha saputo distinguersi sia nell’attività politica che in quella forense per la sua preparazione giuridica, ma anche per la sua innata vocazione oratoria, che nel comizio di piazza – che oggi diremmo “di altri tempi” – trovava vette ineguagliabili. Lo ascoltavano tutti con piacere ammirandone lo stile, la verve polemica e la vivacità, ma soprattutto stimandolo come persona anche se le sue opinioni erano ben radicate e per molti non sempre condivisibili.
Entrato in politica giovanissimo, Trantino era un convinto monarchico e iniziò proprio nel Partito Nazionale Monarchico la sua carriera politica già nel primo dopoguerra, confluendo poi nella Destra Nazionale quando, all’inizio degli anni 70, Almirante e Covelli si unirono nel Msi-Dn.
Alle elezioni regionali del 1971, a Catania, sotto la sua guida, la destra arrivò al 31% dei voti scatenando reazioni a livello nazionale. L’anno dopo Trantino entrò in parlamento rimanendoci per ben 9 legislature, sempre rieletto a Catania fino a quando non si ripresentò nel 2006, certo che sarebbe stato chiamato alla Corte Costituzionale – carica che ambiva ben di più rispetto a quella di Montecitorio – dalla quale invece venne poi escluso per trattative e compromessi di palazzo.
Enzo non perdonò mai a Gianfranco Fini questo “tradimento” e, sdegnato, lasciò la politica attiva ritornando a fare l’avvocato, così come sempre aveva fatto, conciliando la professione forense con la politica.
Passò dalla prima alla seconda repubblica, fu sottosegretario agli Esteri nel primo governo Berlusconi, primo missino a presiedere la Giunta per le elezioni della Camera e poi il Comitato per la legislazione. Fu presidente – e mal gliene incolse – anche della commissione d’inchiesta su Telecom Serbia, un torbido affare dove si doveva indagare su presunte tangenti finite a Romano Prodi e Lamberto Dini, così come sostenuto da un faccendiere, Igor Marini, poi accusato di falso. Una commissione che finì nel nulla, ma che lo lasciò amareggiato poiché fu accusato di aver spinto a un ingiusto coinvolgimento dei due noti personaggi politici.
Ma non sono le note biografiche a rendere giustizia ad Enzo Trantino, quanto le sue capacità sia nell’affrontare i processi che nell’aver pubblicato “per divertimento” tutta una serie di libri che lo hanno dimostrato uno scrittore e un giornalista brillante, ironico, da leggere tutto d’un fiato. Ha pubblicato regolarmente su La Sicilia pezzi di colore e commenti che per anni hanno avuto un larghissimo e trasversale apprezzamento dei lettori.
Amava Catania e la sua Sicilia, la ammirava dalla sua casa sulle pendici dell’Etna e ne ritrovava la storia nel suo splendido studio legale, in un palazzo che aveva sapientemente restaurato, nel cuore della città. Era sempre sorridente, arguto, dava giudizi taglienti come lame, rasoiate imperdibili su amici e avversari politici, rispettandone però sempre le opinioni.
È stata una fortuna averlo conosciuto. Uun “maestro” che ha rappresentato una Politica che da decenni non esiste più, quella che era legata alle idee e alle ideologie che portava al confronto serrato del dibattito, non affidata alle battute superficiali e frivole come quella di oggi.
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