Caro direttore,

È da oltre 20 anni che lavoro in una cooperativa sociale, la quale a oggi si prende cura di oltre 6.000 persone disabili e fragili attraverso servizi diurni, residenziali e per l’inserimento lavorativo. In questi anni il rapporto con la Pubblica amministrazione è cambiato.

A fronte dei primi servizi offerti a partire dagli inizi anni ’80 del secolo scorso, nati anche grazie alla concreta disponibilità e collaborazione con alcuni Comuni, successivamente cominciammo a partecipare in modo consistente a gare d’appalto. In questo modo – e in seguito a una fusione con altre 3 cooperative – raggiungemmo dimensioni ragguardevoli, sia per quanto riguarda le persone che fruivano dei nostri servizi (oltre 150.000, considerando anche i minori che frequentavano i cd. Spazi Bimbi presso una catena di supermercati e i centri estivi) che per quelle che lavoravano con noi (oltre 1.500).



Da qualche anno siamo ritornati su quella che riteniamo rappresenti la via maestra, cioè la gestione diretta dei servizi, non lasciando comunque e completamente la via secondaria degli appalti.

Perché questo?
– Per il difficile e a tratti impossibile rapporto con la Pa, la quale spesso si concepisce e opera come titolare unica ed esclusiva della progettazione e talvolta anche della gestione dei servizi. Da qui la burocrazia, gli appalti sostanzialmente al massimo ribasso, capitolati che concepiscono le cooperative come mere fornitrici di manodopera e modalità operative che spesso cambiano a seconda del dirigente di riferimento, senza dimenticare poi l’ignoranza da parte delle figure apicali delle amministrazioni pubbliche delle norme e delle leggi.



– Perché vogliamo rischiare la nostra capacità progettuale e di innovazione, la nostra esperienza di oltre 40 anni, il nostro know-how nel prenderci cura di persone disabili.

Tre esempi:

1) Un comune, al quale di recente abbiamo proposto un project financing per la realizzazione di servizi per persone disabili (centro diurno, residenziale, servizio per persone con autismo e altro ancora), a fronte di un progetto analogo di un’altra cooperativa, ma con differenze sostanziali rispetto al nostro in termini quali-quantitativi, invece di assumersi l’onere e la responsabilità della valutazione e della scelta del progetto migliore e più rispondente al bisogno dei cittadini disabili, ha deciso di continuare ad appaltare la gestione dei soli servizi esistenti. Tradotto: decido io, Comune, il da farsi, le cooperative si limitino a partecipare alla gara d’appalto e ad applicare quanto previsto dal capitolato.



2) Un altro project financing, già in atto, per la realizzazione di una casa per disabili, sconta un consistente ritardo sin dall’avvio (settembre 2021) stante la non adeguata conoscenza delle norme di riferimento da parte dell’amministrazione comunale. La stessa ad oggi ha espletato solo la prima parte della procedura (approvazione della Giunta comunale): manca il bando di gara, manca il progetto definitivo, quello esecutivo, la realizzazione della struttura, il collaudo, … Domanda: saranno sufficienti altri 3 o 4 anni affinché 10 persone disabili possano avere finalmente una propria casa?

3) Siamo in causa con un ente pubblico, il quale nella valutazione dell’offerta economica di un appalto per un centro diurno disabili ha applicato una formula che non era quella chiaramente prevista e indicata nel bando di gara, con relativa aggiudicazione ad altra cooperativa. Distrazione? Ignoranza? Altro? Ai posteri l’ardua sentenza (il Tribunale amministrativo regionale, intanto, ha immediatamente accolto la nostra domanda di sospensione dell’efficacia della determinazione dell’Ente di cui trattasi).

E allora?
Così come fu importante a suo tempo inserire nella Carta costituzionale il principio di sussidiarietà, lo è stato altrettanto prevedere nel Codice del Terzo Settore (CTS), all’art. 55, il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso la co-programmazione e la co-progettazione.

“La co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della Pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti …”. Così recita il summenzionato art. 55 del CTS.

In questi mesi, durante i quali sono stati predisposti i progetti finanziati tramite il Pnrr, abbiamo avuto modo di rilevare in tal senso comportamenti virtuosi da parte di alcune (non molte in verità) Pubbliche amministrazioni.

Per esempio, abbiamo condiviso con un’Azienda Speciale Consortile di Comuni l’analisi del bisogno in un contesto territoriale dove siamo presenti e lavoriamo da qualche decennio, abbiamo fornito informazioni e suggerimenti rispetto alle caratteristiche dei servizi, in questo caso residenziali, che potrebbero rispondere al bisogno delle persone disabili e fragili.

Così come in un altro ambito o Piano di Zona – strumento che la legislazione indica per l’attivazione di una “rete di servizi integrati” in ambito sociale e socio sanitario (art. 19 della legge 328/2000 – Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) – abbiamo presentato un progetto in partnership con un’Associazione che si occupa di riabilitazione neurologica dell’età evolutiva al fine di realizzare percorsi di autonomia per persone disabili. La fase successiva prevede la co-progettazione con il Comune interessato.

Questa è la direzione, penso, questa è la strada, e ce lo ricorda la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 131/2020, in riferimento all’art. 118 della Costituzione relativo al principio di sussidiarietà, afferma che “si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese”.

Aggiungo un nota bene, che vale tanto per il Terzo settore quanto, e forse ancor di più, per la Pubblica amministrazione: al fine di favorire approcci e processi realmente sussidiari non è assolutamente secondario l’investimento, in particolare attraverso la formazione, sul Capitale umano, con particolare riguardo alle figure apicali.

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