Caro direttore,
Io non so assolutamente niente del nemico. Credevo che gli americani fossero solo dei codardi, però ora so che non lo sono. Mi è stata sempre insegnata una cosa: che loro sono dei selvaggi. Ma quel soldato americano… quella lettera… [la lettera che aveva nel portafoglio l’americano, che avevano appena ucciso] le parole di sua madre… sono identiche a quelle di mia madre…” (Conversazione tra soldati giapponesi in Lettere da Iwo Jima, regia di Clint Eastwood).



Cosa c’è che non va in questa sgangherata politica italiana? I problemi sono innumerevoli: dalla pandemia al cambiamento climatico, dalla disoccupazione alla denatalità, dalle infrastrutture alla parità di genere, la salute, la scuola… e potremmo continuare a lungo. Fino al grande problema della mancanza di una strategia: che Paese vogliamo essere da grandi?



La politica non può ridursi all’affannosa rincorsa di problemi circostanziali, proponendo di volta in volta soluzioni immediate e senza progettualità. Nemmeno il nuovo governo Draghi ci esime dal dover riflettere su cosa causi lo stallo in cui versiamo da decenni, e peraltro i numerosi avvenimenti delle ultime settimane ci invitano a farlo (il ritorno di Letta, “programma per l’Italia” di Calenda e Cottarelli, l’addio a +Europa della Bonino). Occorre riflettere a fondo su questa instabilità, è il primo passo per uscire dall’impasse.

Da giovane ingegnere, appassionato di politica e di Italia, dico: il tassello che manca è la capacità di parlare l’uno con l’altro, la capacità di ascoltarsi.



Non si tratta appena di difendere il famoso “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”, piuttosto della convinzione che abbiamo perso il valore del perché si è sviluppato nel tempo un sistema politico come quello giunto fino ai giorni nostri.

Siamo giunti alla democrazia moderna riconoscendo che dentro l’idea di ciascuno c’è un pezzo di verità che a qualcun altro potrebbe sfuggire e verificando che solo nell’incontro è possibile approssimarsi alla verità, o almeno quella politica, per l’edificazione di una società più buona e più giusta. “La verità nasce dal confronto rispettoso dei punti di vista. Bisogna essere in ascolto delle verità degli altri per giungere a quelle soluzioni approssimative che sono le uniche davvero possibili in democrazia” scrive Gianrico Carofiglio in una ricchissima conversazione con Jacopo Rosatelli, raccolta nel libro Con i piedi nel fango. “La parola ‘approssimazione’ significa avvicinamento graduale: avvicinamento a una verità e a soluzioni condivise, avvicinamento fra persone e opinioni alla ricerca del compromesso (altra parola centrale per la democrazia)”. Riconoscerlo rivoluzionerebbe il tenore e la qualità del dialogo politico.

Assistendo al dibattito politico direi che questa disponibilità a relazionarsi con l’altro per guardare insieme alla verità cercando di coglierne le sfumature che ciascuno porta con sé è rara se non inesistente. L’idea degli altri non è ritenuta un valore, ma piuttosto un perenne ostacolo a un proprio progetto. Assistiamo a una democrazia ormai svuotata del suo significato: conta solo ciò che penso io, non ciò che puoi dirmi. Non c’è libertà nell’approccio ai problemi, e il non voler capire cosa uno davvero afferma quando dice quel che dice rende impossibile un arricchimento di qualsiasi tipo e una considerazione di più fattori possibili. Non fa fare passi in avanti in un lavoro e non si è concreti nell’inquadramento dei problemi e nella proposizione delle soluzioni.

Se cambiassimo metodo, la strada si spianerebbe. È una sfida che riguarda innanzitutto la vita di ciascuna persona. È una rivoluzione che deve partire dal singolo, dal nostro modo di rapportarci agli altri, dalla curiosità e interesse genuino e libero verso chi abbiamo intorno. Da noi agli altri e dagli altri a un’idea nuova di politica collaborativa. Chi può fare questo passo oggi?

Oltre la dialettica destra e sinistra, si confrontano oggi due aree: una più moderata e riformista (Forza Italia, Noi con l’Italia, Italia Viva, Azione e Pd), l’altra chiusa in sé stessa e arroccata sulle sue posizioni (Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle). Schieramenti che il governo Draghi non ha cambiato.

Chi può farsi veicolo di una rinascita della democrazia in senso più vero, proprio e bello del termine è l’area riformista, unica possibile promotrice di un dialogo così inteso e che abbia come faro questo metodo, sia al suo interno che nei confronti degli altri. I vari partiti in cui l’area riformista è divisa sono davvero in grado di percorrere questa strada comune che ridia senso e scopo al fare politica? I riformisti nei vari partiti – da Forza Italia al Pd – sono sufficientemente liberi da lanciarsi in questa sfida comune?

Moltissimi giovani come me sono desiderosi di dare un contributo e buttarsi con le loro idee ed energie. Non vogliamo tapparci il naso scegliendo il grande partito che sostiene il meno peggio tra sovranisti e populisti, né tantomeno ci sembra vincente dover selezionare una piccola forza che per quanto ci corrisponde, rimane piccola. Fateci questo regalo, fatelo alla mia generazione. Avviate subito un percorso forte, che possa attrarre anche i giovani invece che costantemente allontanarli.

Non vogliamo che all’improvviso siate d’accordo su tutto. Vogliamo però poter veder nascere un luogo politico in politica, che sia punto di dialogo vero e spunto di rivoluzione per tutti. Altrimenti, la vecchia politica prevarrà e i problemi rimarranno irrisolti, perché il pregiudizio scaccia la concretezza. È questo che vogliamo?

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