Caro direttore,
fare riferimento a Dagospia per descrivere la comunità di Bose come nel vostro articolo del 30 maggio 2020,  mi sembra una scelta poco felice, per usare un eufemismo. Sono stata una dei tanti ospiti della comunità di Bose in diverse occasioni negli ultimi tre anni e non mi ci ritrovo proprio in uno dei “fighetti di sinistra del Belpaese” come riportato nell’articolo. Durante le mie visite non si sono rivolte “preghiere per Buddha, Visnù, Shiva e Maometto”, ma si cantavano i salmi in tre momenti della giornata. Ho respirato una spiritualità e ho ascoltato un linguaggio che tanto manca nel mondo di oggi e di cui si sente un profondo bisogno. 



Gabriela Soppelsa

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