Caro direttore,
Repubblica ha pubblicato con molta evidenza una lettera di Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio. L’intervento contesta frontalmente una proposta di legge di Fratelli d’Italia contro la minaccia di negazionismo per i massacri delle foibe.



La proposta FdI suggerisce di integrare in modo puntuale l’articolo 604 del Codice penale: dove fra “i delitti contro l’uguaglianza” vengono da alcuni anni specificamente menzionati “la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento… che si fondino in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra…”. Se FdI vuole l’equiparazione espressa delle foibe alla Shoah, questa è invece un’“equazione sbagliata” nel titolo-denuncia della docente della Cattolica, chiamata all’inizio del 2020 direttamente a Palazzo Chigi dall’allora premier Giuseppe Conte.



Sul merito della questione, Santerini articola argomenti noti. La Shoah è un genocidio dotato di una “singolarità assoluta”, mentre il massacro di decine di migliaia di civili italiani da parte dei partigiani slavi “secondo molti storici sarebbe un eccidio politico”. Gli italiani “infoibati” – in questo quadro – sarebbero stati trucidati in quanto “nemici fascisti”: non sarebbero stat quindi vittime di un genocidio a radice etnico-religiosa.

Santerini riconosce il diritto dei “partiti eredi della tradizione della destra italiana di onorare questi morti, in passato dimenticati” e il dovere di farlo da parte di “tutto il Paese”. Rammenta la Giornata del Ricordo, istituita il 10 febbraio, due settimane dopo la Giornata della Memoria. Non ha difficoltà a ribadire su un piano generale che “tutte le vittime dei genocidi, in qualsiasi momento o luogo, senza concorrenza fra loro, hanno diritto ad eguale dignità rispetto e pietà”.



Tuttavia “se una legge dovesse introdurre esplicitamente il riferimento a queste stragi nell’articolo 604 bis del Codice penale si rischierebbe di considerare le foibe non un crimine di guerra, ma un evento epocale equiparato al genocidio ebraico. Tale equazione, sbagliata sul piano storico e inappropriata su quello giuridico-politico, contribuirebbe a relativizzare e minimizzare l’evento Shoah, espressione del male senza eguali nella storia”. È qui che la riflessione prende e oscillare fra merito e metodo: suscitando qualche interrogativo.

Se l’“equazione” Shoah-foibe sia “giusta” o “sbagliata” rimane senza dubbio questione da lasciare agli storici. Santerini stessa, d’altronde, ricorda che nella memoria collettiva italiana maturata dalla storiografia – e quindi istituzionalizzata dalla legge – entrambe le tragedie sono oggi ricordate da rispettive “Giornate”. Potremmo aggiungere, solo a titolo di ulteriore spunto, che la scuola pubblica italiana include oggi usualmente negli stessi viaggi di studio la visita alla Risiera di San Sabba a Trieste e alle vicine foibe. E gli italiani di religione ebraica vittime dell’odio nazista non appaiono ai millennial italiani così diversi dagli italiani – molti di religione cattolica, molti non iscritti al Partito nazionale fascista – uccisi dall’odio dalle milizie titine.

Quello che appare senz’altro discutibile è invece il giudizio preventivo di “inappropriatezza giuridico-politica” della proposta di legge di FdI. Nella Repubblica italiana – nata come democrazia dopo tutte le tragedie della Seconda guerra mondiale – ciò che è “appropriato” oppure no “sul piano giuridico-politico” lo decide il Parlamento, centro della sovranità popolare sancita dalla Costituzione. È l’articolo 71 della Carta a stabilire che “L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale”.

Quando un partito rappresentato in Parlamento presenta un disegno di legge ripete ogni volta un atto fondativo della democrazia italiana. Non esiste mai un disegno di legge “inappropriato” a prescindere: non lo è – fra cento casi d’attualità – il Ddl sull’omotransfobia, che a sua volta si muove sul terreno dell’odio e della discriminazione. Non lo sono le varie iniziative sullo “ius soli”, in chiave antirazzista. Saranno le Camere – e solo loro – a decidere democraticamente se e come un disegno o una proposta di legge è “giusta o sbagliata sul piano giuridico-politico”; se merita o no di trasformarsi in legge dello Stato (salvo l’eventuale e successivo vaglio di legittimità costituzionale da parte della Consulta).

Se alcuni anni fa alcuni italiani – attraverso i meccanismi della democrazia rappresentativa – hanno ottenuto una specifica tutela penale contro il negazionismo della Shoah, perché altri italiani – che seguono lo stesso percorso “giuridico-politico” – devono vedere pregiudizialmente negato come “inappropriato” un analogo tentativo per le foibe? Chi lo fa, più o meno consapevolmente, sottende che esistano italiani – e loro partiti – di serie A e di serie B. Italiani e partiti che hanno diritto a sostenere una causa e a proporre leggi; e italiani che per una causa analoga non hanno neppure il diritto di proporre una legge in Parlamento. E questo sembra violare palesemente il principio di uguaglianza (anche sul piano delle “opinioni politiche”) fissato dall’articolo 3 della Costituzione: quello che – almeno sulla carta – rappresenta anche l’ubi consistam del “coordinamento” affidato alla professoressa Santerini.

Chiunque, della democrazia italiana, ha naturalmente il diritto di criticare una proposta di legge: è l’essenza della vita politica. E sulle grandi questioni – come prospetta espressamente a Costituzione – il governo ha il dovere prima ancora che il potere di presentare sue proposte. Tuttavia nel caso specifico, una domanda sembra lecita: la bocciatura irrevocabile a mezzo stampa della “coordinatrice nazionale della lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio” sulla proposta FdI sulle foibe è la posizione del governo in carica? E’ un’opinione personale e culturale o un giudizio politico da parte di un “organismo” che opera formalmente presso la Presidenza del Consiglio?

Questo riporta – almeno ad avviso di chi scrive – a una distinta e più generale questione “giuridico-politica”. L’ufficio ricoperto dalla professoressa Santerini non è stato istituito da alcun atto normativo della Stato italiano avente forza di legge: è invece raccomandato da alcune linee-guida formulate in sede europarlamentare. La designazione della “coordinatrice” è avvenuta direttamente su iniziativa dell’allora premier Conte, un non parlamentare. Un passo sul quale il Consiglio dei ministri (sostenuto da, M5s, Pd, Iv e Leu) si è limitato a “convenire”. Si è trattato – nella forma istituzionale e nella sostanza politica – di un’accelerazione (in parte “impropria” sul piano “giuridico politico”) di un più generale processo più volte annunciato e finora mai veramente iniziato.

Poche settimane prima della nomina della “coordinatrice” il Senato aveva deciso l’istituzione di una “commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione alla violenza”. La commissione aveva inizialmente registrato l’astensione di Lega e FdI: la mozione promotrice – con la prima firma dalla senatrice a vita Liliana Segre – appariva connotata in senso politico, divisivo. Era stata presentata senz’alcun preavviso poche ore dopo una netta vittoria del centrodestra al voto regionale in Umbria.

I sospetti di strumentalizzazione politica della vicenda – violentemente mediatizzata – sono però stati via via superati nel presupposto che al centro dei lavori della commissione venisse posto “il contrasto all’odio” nella sua più ampia accezione civile e sociale. La conferma è giunta nei giorni scorsi. Dopo la lunga pausa forzata imposta dalla pandemia, la commissione ha potuto iniziare i suoi lavori e a fianco di Segre – che ha accettato la presidenza – uno dei due vicepresidenti (la senatrice Daisy Pirovano) è espressione della Lega. E in commissione – oltre ad altri quattro commissari leghisti – siede il senatore Luca Ciriani (FdI).

Nella sua prima seduta operativa – lo scorso 21 maggio – la commissione ha approvato un ordine del giorno programmatico: “La commissione, su proposta della presidente Segre, ha deliberato di richiedere l’autorizzazione al Presidente del Senato per lo svolgimento dell’indagine conoscitiva sulla natura, cause e sviluppi recenti del fenomeno dei discorsi d’odio, con particolare attenzione alle evoluzioni della normativa europea”.

Solo ora sembra quindi prospettarsi una cornice giuridico-politica appropriata per l’incubazione di una vera “legge contro i fenomeni di odio in Italia”. È da questa commissione che è attesa anzitutto una riflessione operativa ormai matura su una normativa italiana contro l’antisemitismo. Un reale strumento di contrasto alla violenza razziale: com quello, ad esempio, di cui gli Stati Uniti si sono dotati già due anni fa attraverso un executive order del presidente Donald Trump. La legge Usa combatte anzitutto ogni iniziativa di boicottaggio antisionista dei prodotti israeliani e dell’investimento in aziende israeliane: posizione sulla quale la Ue ha invece tradizionalmente posizioni reticenti e oscillanti.

È certamente dalla commissione Segre che possono uscire raccomandazioni opportune su possibili strutturazioni istituzionali permanenti delle politiche di contrasto all’odio. Di format collaudati ne esistono molti: ad esempio la commissione bicamerale Antimafia, forse preferibile a un dipartimento della Presidenza del Consiglio, a una delega ministeriale agli Interni o a un’authority indipendente. Ma potrebbero essere valutate anche altre figure istituzionali, diverse fra loro sebbene accomunate dalla cronaca di questi giorni: il Copasir in Parlamento, il sottosegretario alla Presidenza con delega alla Sicurezza della Repubblica.

Non da ultimo: la commissione Segre si presenta a questo punto come sede ideale per una prima discussione giuridico-politica per il ddl di FdI contro lo specifico rischio-negazionismo per i massacri delle foibe.

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