Riceviamo e pubblichiamo la lettera che l’autore ha spedito ad un gruppo di amici, per raccontare loro il difficile momento che sta vivendo (ndr). 

Cari amici,
nel 2023 alcuni fatti personali tra cui, ultima, la mia lunga e perdurante malattia (una stenosi lombare che spero risolverò presto con un intervento chirurgico) hanno sconvolto i miei progetti. Non è facile stare difronte a certe circostanze. Sono passato da un iperattivismo e presenzialismo ad una inattività e isolamento a letto pressoché totali con intenso e continuo dolore fisico. Mi son dovuto domandare il senso di certe giornate in cui il dolore fisico la fa da padrone e non riesco a fare nulla, mentre ci sarebbero infinite cose da fare, progettare e sviluppare. Mi ha aiutato molto andarmi a rileggere, dalle sue biografie, come don Giussani ha affrontato i suoi lunghi e dolorosi periodi di malattia.



Sapevo benissimo (teoricamente) che queste prove sono occasioni che il Mistero permette per andare più spediti verso il compimento del proprio destino, molto più della realizzazione dei miei progetti, che spesso sono il mio “meglio” anziché il mio “bene”, e che magari un giorno sorriderò di tutti questi problemi. Ma oggi, mio malgrado, sono costretto a fare i conti con la dura realtà e verificare nei fatti se queste affermazioni sono vere. Diceva don Giussani: “Dio permette la sofferenza affinché la vita sia più vita, perché la vita senza sofferenza si rimpicciolisce, ci chiude … Le circostanze, anche se negative, sono sempre una opportunità … (positività del reale) … Qualunque sia la circostanza anche sotto i colpi più micidiali uno può sempre offrire tutto”. Ma diceva anche, molto umanamente: “Ti prego non provarmi troppo”.



Ho potuto verificare che quando tutte le sicurezze mi sono crollate intorno sono stato costretto ad andare all’essenziale, per cui le preoccupazioni che avevo sono diventate secondarie. Ho imparato a mie spese che lavorare fino allo sfinimento anche con la buona intenzione di servire, come ho spesso fatto, non deve sfociare in una trascuratezza dell’Io che a volte è anche una trascuratezza fisica. Quando le capacità fisiche diminuiscono, andando al fondo di me stesso la coscienza di me aumenta, e posso avere la Grazia di accorgermi, come per don Giussani, che non sono più solo ma “un Altro diventa sempre più il compagno inseparabile del mio io”.



La fede, dunque, non risparmia la sofferenza: si possono provare grandi dolori fisici ed affettivi, oppure vedere un proprio progetto fallire, provare impotenza e avere la sensazione che il male dilaghi, ma c’è un punto irriducibile che è l’Io il quale, nonostante limiti, fallimenti, il male o il potere che si subisce è sempre rapporto diretto con il mistero di Dio. La malattia mi ha fatto comprendere e sperimentare nel profondo che sono fatto da un Altro in ogni istante e che la vita non mi appartiene; è una circostanza che mi costringe a mettere in secondo piano tutti i progetti, pur buoni, tutti gli orpelli di cui mi circondo normalmente e mi mette difronte al Fatto più decisivo: il mio valore non è in quello che riesco a fare o costruire di buono, ma nel mio rapporto con il Mistero. Anche se sulle stampelle come me oggi.

Ripensando alla mostra Il gusto del quotidiano che insieme ai miei amici abbiamo proposto al Meeting di Rimini la scorsa estate, ho capito nei fatti, verificato sulla mia pelle, come i monaci hanno potuto far rinascere e costruire una civiltà non tanto perché si sono ingegnati e dati da fare (certamente c’è bisogno sempre di studio, competenza, passione, dedizione, impegno, sacrificio e lavoro) ma principalmente per il rapporto costante e continuo con il Mistero che li faceva, aiutati dal loro stare insieme (amicizia, compagnia) e dal metodo che si erano dati (regola), insomma perché hanno potuto dire, con san Benedetto, “Con le nostre mani ma con la Sua forza”.

(Eugenio Conforti)

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